Il mercato dell’usato trionfa in Italia, coinvolgendo il 50% della popolazione sotto i 45 anni, che vende e acquista oggetti di seconda mano, grazie alla tecnologia, anche online (40%).

Lo sottolinea la ricerca annuale realizzata da Doxa su 1.000 soggetti - intervistati con metodo Cati -, per Subito.it, leader nella compravendita telematica anche nella nostra Penisola. La second hand economy crea attualmente un giro d’affari di 18 miliardi di euro, pari all’1% del Pil nazionale.

La fascia più giovane (fino ai 45 anni, appunto) è la più attiva: la metà afferma di avere condotto transazioni di questo tipo poiché le considera un modo intelligente e non convenzionale di fare economia.

I beni usati più gettonati sulla rete appartengono alle categorie dell’elettronica (33% degli atti di acquisto), dello sport e hobby (31), dei veicoli (28) e dei beni per la casa e la persona (26).

Chi compra il second hand continua a farlo anno dopo anno (56%), testimoniando il proprio gradimento verso uno stile di vita intelligente e sostenibile, in cui i mercatini e le altre modalità offline stanno progressivamente lasciando il posto al digitale.

Ai veicoli la leadership indiscussa in termini di valore, con 4,2 miliardi di euro fatturati, seguiti dall’arredamento ed elettrodomestici (980 milioni). Sta aumentando anche il peso di altre merceologie, come la moda (360 milioni) e l’elettronica di consumo (340 milioni).

La volontà degli italiani di liberarsi del superfluo (58%) e di soddisfare il desiderio di cambiamento (13%) stimola la crescita, che non è però trainata solo dal desiderio di guadagnare (22% nel 2015, contro il 38 del 2014), a conferma che la crisi non è il principale driver.

“Si afferma un nuovo stile di pensiero, che possiamo definire ‘pragmatismo creativo’ tipico del consumo smart di una nuova generazione – commenta il sociologo Francesco Morace, presidente di Future Concept Lab -. Parliamo di una generazione che trasforma tutto ciò che è usato, o di seconda mano, in materia da rigenerare con fantasia: cambiano le aspettative, le competenze, le soddisfazioni. Questa dimensione, ancora da esplorare, di smart consumption, è nata con il web e si libera dall’ossessione neo-pauperista della decrescita, ispirandosi all’ingegno applicato e al desiderio di rinnovare a costo zero”.

Il fenomeno non si limita al non alimentare - fotografato da Doxa e Subito -, ma comincia a lambire anche il food. Citiamo solo un paio di casi italiani.

Dopo una serie di test è decollata, a marzo 2016, la versione definitiva della piattaforma MyFoody. Ideata dal giovane imprenditore Francesco Giberti, la start up, partita da Milano, si prefigge di coprire in breve tutte le città del Bel Paese. Il sito mette in connessione il cliente finale e 17 negozi convenzionati - supermercati, punti di vendita bio e indipendenti –, indicando i prodotti vicini alla scadenza, antiestetici o in eccedenza, che si possono poi acquistare in appositi spazi allestiti negli esercizi commerciali aderenti.

Quasi scontato ricordare l’ormai famoso Last Minute Market: prima (1998) spin-off dell'Università di Bologna e poi, dal 2003, realtà imprenditoriale operante su tutto il territorio nazionale, sviluppa progetti locali volti al recupero dei beni invenduti (o non commercializzabili), a favore di enti caritativi.

Se è vero che, in questi casi, lo scopo primario è la lotta allo spreco, è altrettanto vero che il risultato è di concedere una nuova occasione ai prodotti, sviluppando notevoli forme di risparmio.

Ancora più avanzati alcuni esempi esteri, resi possibili da norme meno restrittive delle nostre.

Ricordiamo per tutti Wefood, il supermercato di Copenaghen che, da febbraio 2016, vende generi alimentari confezionati scaduti da pochissimo, o con imballaggi danneggiati, ma ‘a tenuta’. I ribassi di prezzo vanno dal 30 al 50 per cento. Anche qui non si tratta di second hand in senso stretto, ma comunque del segno di un’economia che rifiuta creativamente il concetto, comodo ma sbagliato, dell’usa e getta.