Sono cinque i paesi europei e sette le marche leader messe sotto la lente di ingrandimento nel quadriennio 2000-2004 dalla ricerca Il futuro delle marche industriali, eseguita da Sda Bocconi per conto della Booz Allen Hamilton.

Ciò che appare evidente dalle quote di mercato dei brand considerati (Garnier per gli shampoo, Dove per i bagnoschiuma, Finish/Calgonit per i detersivi per lavastoviglie, Colgate per la categoria dentifrici, Cadbury’s per il cioccolato, Barilla per la pasta e Danone per lo yogurt) è la mancanza di leadership assoluta in tutti i paesi oggetto di studio. Tra questi marchi, infatti, l’unico che non sia leader in un paese solo è Finish/Calgonit, al primo posto in quattro mercati su cinque (Germania, Olanda, Italia e Regno Unito).

Dove domina solo in Olanda; Barilla è prima solo in Italia; Garnier e Danone sono leader solo in Francia; Colgate e Cadbury’s vincono in Gran Bretagna. “Se la globalizzazione della marca può rivelarsi strategia vincente nei prodotti per la casa o per l’igiene personale - afferma Chiara Mauri, coordinatrice della ricerca -, non è così nell’alimentare, in cui le performance migliori sono raggiunte da marche multiregionali, che tendono a replicare in altri paesi, uno alla volta, le strategie dimostratesi vincenti a casa propria.”

Il mercato davvero europeo è visibile quindi, più che nei comportamenti dei consumatori, nei comportamenti delle imprese: le decisioni di marketing strategico sono accentrate presso la casa madre, mentre le periferie implementano ed eventualmente localizzano.

Dalla ricerca emerge anche un rapporto sbilanciato tra l’Italia e gli altri paesi. Il Belpaese si dimostra infatti un mercato meno maturo degli altri. La quota di mercato dei primi cinque retailer è del 21%, contro il 50% della media europea, e la penetrazione delle private label (14%) è la metà. Questo nonostante quasi tutti i consumatori abbiano provato i prodotti a marchio d’insegna e il 75% di loro li consideri una buona alternativa ai prodotti di marca.

C’è spazio per crescere, dunque. I distributori arricchiscono allora la gamma dei loro prodotti, cercando di averne uno in ogni sottosegmento di mercato, a un prezzo migliore di quello della marca leader. “Il vero limite di questo ragionamento - spiega Mauri -, è che la gdo guarda alle marche industriali anziché ai propri clienti. Così, per esempio, finisce per affollare il segmento value, quello coi prezzi più bassi, anche se il consumatore preferisce prodotti di qualità più alta. Per corrispondere alla quota di mercato, sugli scaffali dovrebbero esserci la metà degli shampoo economici che ci sono ora e un quinto del cioccolato a basso prezzo”.

I marchi leader e le private label stanno sottraendo spazio a tutti gli altri nel segmento intermedio del mercato, mentre rimane una certa molteplicità di marchi nel premium e, soprattutto, nei primi prezzi.