Come rendere l’acquisto davvero gratificante? Cosa si aspettano gli italiani dalla distribuzione e dalle marche e quali sono le attese soddisfatte e, al contrario, quelle frustrate? Se lo è chiesto Centromarca che ha commissionato a Ipsos la ricerca qualitativa “Il punto di vendita e l'esperienza del consumatore”.

Lo studio spiega, che esiste, in prima battuta, un diffuso bisogno di semplificazione della vita quotidiana, che non riguarda solo il nostro Paese, ma molti altri grandi mercati. I più desiderosi di linearità sono i cinesi, seguiti proprio dagli italiani e poi da indiani, sudafricani, francesi…

I consumatori desiderano governare l'invadenza del digitale, riconoscere i veri nemici, cioè i disturbatori della quiete e del privato, regolare con accuratezza gli stimoli in entrata e in uscita.

Si osserva un eccesso di input e di offerta. Basti dire che, secondo Ibm, il 90% delle informazioni digitali generate nel Mondo è stato creato negli ultimi 2 anni, che in 40 anni la quantità di prodotti presenti nei supermercati americani è quintuplicata, mentre in Italia un ipermercato contiene oggi una media di 12.000 referenze, contro le 9.000 del 1999.

La ricerca sottolinea che prezzi buoni e assortimenti non bastano, ma devono accompagnarsi, nel pdv, a comodità, risparmio di tempo e chiarezza, intesa come un insieme di punti di riferimento sicuri che aiutino a fare le scelte giuste. A questo si sommano le recenti istanze di sostenibilità, etica produttiva, rispetto della salute e della forma fisica.

Non vengono tollerate, nei layout, corsie ostruite o poco luminose, scaffali disassortiti, disordinati, troppo alti o in fase di riassortimento durante gli orari di apertura, promozioni e sconti poco chiari, packaging con informazioni scarse.

Alla luce delle moderne richieste Ipos ha analizzato i diversi format commerciali, a partire dall’ipermercato, reputato disorientante e dispersivo, con un’offerta smisurata – ma a volte lacunosa nel non food - che crea un senso di smarrimento.

Al contrario il superstore è giudicato un buon compromesso fra ampiezza assortimentale, comfort e chiarezza. Ma anche a questa tipologia si chiede più leggibilità: “Emerge l'importanza di una maggiore specificità e visibilità della segnaletica – scrive Ipsos -, per semplificare l'orientamento del pubblico, favorire la fruibilità della superficie e velocizzare gli acquisti. Si segnala anche la richiesta di spazi ad hoc, nei quali valorizzare le offerte specifiche di ogni categoria”.

Merita un approfondimento l’ambiguo rapporto fra gli italiani e il discount. Se il canale è in costante crescita - ha toccato, secondo Nielsen il vertice delle 5.065 unità a luglio 2016 – esso continua a venire scelto per la convenienza e perché alimenta l'autopercezione di furbizia nel consumatore. “Ma l'esperienza d'acquisto – avverte Ipsos - è piatta e poco emozionale. La clientela desidererebbe che la merce venisse esposta in maniera meno disordinata, per contenere la sensazione complessiva di trascuratezza”, che si somma a un vissuto di eccessiva uniformità dei reparti e di mancata caratterizzazione dei lineari, elementi che rendono problematico individuare le categorie merceologiche e dunque i prodotti desiderati.

In tutto questo gli italiani apprezzano format più piccoli, come supermercati di prossimità e superette, ma soprattutto guardano ai negozi specializzati, che Ipos definisce addirittura come “mini category killer per i format despecializzati. L'appeal della formula è legato alla profondità dell’offerta, alla leggibilità del layout, alla presenza di personale competente e alla politica di prezzo competitiva. I consumatori auspicano che la specializzazione venga ulteriormente incrementata con servizi collaterali affini”. Per esempio corner lavanderia nei punti vendita di prodotti per la cura della casa, o centri estetici nelle profumerie.

E la marca? È ancora un elemento amico, visto che la notorietà è un rifermento per un pubblico disorientato, ed è per giunta portatrice di innovazione. Ma anche il concetto di marca si amplia ed è chiamato a comprendere prodotti salutistici e naturali, biologici, locali, tipici, ambiti in cui le marche private si distinguono già con efficacia.

La comunicazione gioca un ruolo chiave nel testimoniare la forza dei brand, ma solo se è realmente distintiva e capace di alimentare il senso di reale valore.

Per l'industria di marca – conclude Ipsos - si aprono nuovi spazi di relazione, fondati sulla capacità di utilizzare i big data per definire strategie ad hoc, in funzione dei diversi format. La capacità di raccogliere, elaborare e condividere informazioni sarà sempre più il fattore di successo per le insegne e per i marchi. Occorre, infine, coltivare la brand reputation, poiché un'esperienza - positiva o deludente - può essere condivisa in tempo reale attraverso i social, e questo rende la marca più vulnerabile”.


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