E' entrato in vigore, dal 1° gennaio 2018, l’obbligo di utilizzare per l’ortofrutta, la carne, il pesce e tutti gli alimenti freschi sfusi venduti in Gdo, ma anche nel normal trade e nei mercati all'aperto, sacchetti biodegradabili e compostabili, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40% nel 2018-2019, al 50% dal 2020 e al 60% dal 2021. Gli shopper devono essere in linea con la norma tecnica Uni-En 13432.

In Italia tutto deriva all’articolo 9-bis del cosiddetto ‘Decreto Mezzogiorno’ (Dl 20 giugno 2017, n. 91), convertito in legge nel mese di agosto. La regola nazionale, a sua volta, applica gli orientamenti e la disciplina della direttiva Ue 2015/720.

Il provvedimento è sicuramente positivo in quanto vengono tolti di mezzo, nella nostra Penisola, addirittura 9-10 miliardi di imballaggi all'anno (secondo alcune stime di Assobioplastiche), che, altrimenti, continuerebbero ad aggravare la già pesantissima situazione ambientale.

Tuttavia restano alcune perplessità. Discusso è, per esempio, il tema delle scorte: da un lato le grandi insegne della Gdo hanno anticipato da tempo la transizione, risolvendo a monte il problema, ma, dall’altro, si pongono interrogativi sul livello di adeguamento dei semplici negozi e degli ambulanti.

C’è poi la questione del prezzo dei nuovi shopper, che non è stato fissato. Secondo le prime notizie si va da un minimo di 1 centesimo, annunciato da Unicoop Firenze, ai 2-3 centesimi per i quali avrebbe deciso Auchan. E' comuncque un costo che non può essere assorbito, neppure volendo, dal commercio. Come riporta ‘Il Fatto Quotidiano’ una lettera che il Ministero dell’Ambiente ha indirizzato a Federdistribuzione e ai responsabili legali delle maggiori catene vieta infatti la cessione a titolo gratuito.

Non solo: lo stesso documento spiega che non ci sono e non ci saranno eccezioni, deroghe e proroghe, cosa comprensibile visto che la norma è ben conosciuta e datata.

Chi non si adegua rischia di incappare in un sistema sanzionatorio che oscilla, per gli operatori commerciali, fra 2.500 e 100.000 euro di multa.

Non è finita: la decisione sulla gratuità o meno degli shopper per ortofrutta & C. è stata demandata ai singoli Stati. L’Unione infatti, mentre ha previsto il pagamento obbligatorio dei sacchetti della spesa ordinari, per sensibilizzare la collettività, non ha dato invece indicazioni per le buste che devono contenere lo sfuso.

Altro elemento critico concerne i sacchi riutilizzabili. Il nostro Ministero, sempre nella lettera citata, impedisce al consumatore, per motivi igienici, di portarsi da casa contenitori lavabili destinati ai freschi, scelta invece in test, come riferisce sempre ‘Il Fatto Quotidiano’, nella vicina Svizzera, dove però l'applicazione delle norme ambientali comunitarie non è obbligatoria, ma solo fortemente incoraggiata, e nella regione belga delle Fiandre.

In queste due aree sono state proprio alcune catene della Gdo a mettere in vendita, per i propri clienti, appositi kit di sacchetti ortofrutticoli che si prestano alla completa pulitura e, quindi, al reimpiego. Se la motivazione sanitaria del nostro Esecutivo regge sicuramente bene per i prodotti ittici e carnei, non convince affatto quando si parla di mele, pere, arance, ortaggi...

E il consumatore cosa dice? In generale è soddisfatto e ben disposto, come spiega l’analisi "I sacchetti biodegradabili per il reparto ortofrutta", realizzata da Ipsos Public Affairs e commissionata da Novamont.

Distribuzione Moderna ne ha già parlato in ottobre, ma vale la pena di ricordare che se la clientela è oggi molto più responsabile in fatto di tutela ecologica e tende addirittura a colpevolizzarsi, in modo omogeneo, per i moltissimi danni causati al pianeta, non c’è invece completa unanimità sul tema del pagamento. Il 71% ipotizza e accetta un piccolo esborso economico, mentre circa un intervistato su tre (29%) si dichiara contrario. Il 59% valuta il costo di 2 cent del tutto ragionevole, mentre una minoranza (13%) è in netto disaccordo.


Ultimo aggiornamento: 2 gennaio 2018