Un sacchetto per tutti i gusti. Insalate, spinaci, minestroni. Oppure vaschette: polli, spiedini, salumi, tortellini. Un’orgia di cibi impreziositi dal packaging attivo, che permette di stivarli in frigo per giorni, settimane (magari un mese). Con la sola preoccupazione di liberarli dall’involucro e renderli presentabili/mangiabili quando servono.

Negli ultimi giorni, Coldiretti e il mensile “Dimagrire” hanno osservato, analizzato, decifrato abitudini e pulsioni alimentari. E l’acquisto di cibi freschi preconfezionati ha stravinto. I numeri della ricerca dell’Editrice Riza evidenziano percentuali da elezioni bulgare: sette intervistati su dieci li comprano quasi quotidianamente, con preferenza per l’insalata, seguita da verdura, frutta, salumi, pasta fresca, pane, formaggio grattugiato. Tre intervistati su dieci frequentano abitualmente anche gli scaffali delle carni preparate: polli, hamburger e spiedini, tagliati, puliti, sporzionati, sigillati.

La cosiddetta “quarta gamma” rappresenta oggi il 10% del valore di mercato dei prodotti ortofrutticoli acquistati nel 2005. Una sorta di Everest del pronto-in tavola: 58 milioni di kg solo di vegetali, per quasi mezzo miliardo di euro di spesa, con un trend in crescita del 15% annuo. I grandi consumatori di buste & vaschette sono concentrati tra nord ovest e centro (due abitanti su tre) mentre al sud i numeri calano vistosamente (uno su quattro): sia perché s’inverte la proporzione tempo-denaro, sia perché al sud il legame con la terra – personale o grazie a famigliari e amici contadini – è ancora solido.

Si risparmia tempo, sicuramente non denaro. A fronte di una spesa anche sei volte superiore – un’enormità! – la spiegazione si veste di salutismo: i preconfezionati, secondo la maggior parte delle risposte, garantiscono più igiene. Solo in seconda battuta risultano più pratici da consumare e piacciono di più ai bambini. Il marchio Bio ha il suo peso per un italiano su tre. Praticamente la stessa percentuale di chi dichiara di leggere con attenzione le etichette…Il guaio è che igiene e salubrità non sempre coincidono.

Certo, la diffusione della tecnologia MAP – Modified Atmosphere Packaging – ha incrementato la durata fino a 400 volte rispetto a quella naturale. In compenso, il lavaggio dell’insalata avviene in acqua clorurata, con una concentrazione venti volte superiore a quella della piscina: pratica non consentita nelle produzioni bio, che lascia residui clorurati sulle foglie.

Quanto alla miscela di gas anti-deterioramento e scolorimento – ossigeno e anidride carbonica in proporzioni invertite rispetto all’aria – l’Istituto della Nutrizione ha recentemente accertato un crollo verticale delle proprietà antiossidanti presenti nelle foglie, già di per sé cariche di una dozzina di trattamenti chimici. Se il dubbio vi tormenta, procuratevi una copia di “Non c’è sull’etichetta” dell’inglese Felicy Lawrence. Letto il libro, sarete felici di attrezzare il vostro micro-orto personale.