Sarà l’industria a pagare i macroscopici errori di bilancio (utili sovrastimati per 250 milioni di sterline) del colosso britannico Tesco, che hanno portato, nei giorni scorsi, a una perdita di ben 8 miliardi di euro?

Sembra proprio di sì. Il Ceo del gruppo, Dave Lewis, ha infatti dichiarato, in un’intervista al “Times” che l’attuale assortimento – 60.000 prodotti per 90.000 referenze – verrà tagliato addirittura del 30%. Come dire che 27.000 item saranno estromessi dagli scaffali.

Lewis adduce due giustificazioni: sarebbe impossibile pensare a una razionalizzazione senza ledere gli interessi dei fornitori e si tratta comunque di prodotti che il consumatore non vuole. Come dire: finora ci siamo sbagliati.

Ma può un retailer internazionale con mezzo milione di addetti, poco meno di un secolo di vita, 7.817 punti di vendita in 12 Paesi, sbagliare tanto gravemente, prima sul versante finanziario e poi su quello prettamente strategico?

Ha rafforzato il concetto della razionalizzazione, dalle pagine del “Guardian”, Steve Dresser, della società di consulenza Grocery Insight. Secondo Dresser il consumatore cerca innanzitutto semplicità: se vuole, per fare un esempio, una salsa ketchup, quando trova un prodotto di qualità sufficiente a un prezzo buono, l’acquista e tutto finisce lì.

In questo consisterebbe il vero segreto dei maggiori discounter, come Aldi, operatori che sanno bene che minori assortimenti significano innanzitutto minori costi.

Un po’ banale. Ma banali non sono le cifre di Grocery Insight, che mettono a confronto proprio Tesco e Aldi. Nel ketchup Tesco ha 28 referenze e Aldi solo una. Nel riso Tesco ha 98 opzioni e Aldi 6, nel caffè Tesco è, addirittura a 283 item e Aldi a 20.