“Oltre a penalizzare il consumatore meno abbiente, un aumento delle aliquote sarebbe un ulteriore freno alla ripresa di un settore messo a dura prova dalla stagnazione economica e dall’aumento delle materie prime sui mercati internazionali. L’innalzamento anche di 1 solo punto percentuale dell’Iva sui prodotti alimentari, secondo una stima del Centro Studi di Federalimentare, comporterà un aumento per la famiglia media italiana di ben 50 centesimi al giorno. Una quotidianità che fa lievitare il peso di questa imposta al di là di quanto forse viene normalmente percepito, soprattutto a confronto di prodotti durevoli che si acquistano ogni 3 o 5 anni o, addirittura, una volta nella vita”, scriveva già il 24 agosto Federalimentare, l’associazione confindustriale che raggruppa le nostre industrie food. Altrettanta preoccupazione esprimeva Federdistribuzione, che raccoglie la gdo italiana.

Nonostante il grido di allarme lanciato dagli industriali e dai commercianti la scure si è abbattuta sulla più famosa imposta indiretta, che passa dal 20 al 21%, anche se l’Esecutivo aspetta oggi l’imprimatur definitivo del Senato.

Rincarano così, anche se è per ora difficile dire da quando, moto, auto, abbigliamento, scarpe, cioccolata, alcolici ecc. Si salvano invece le aliquote agevolate del 4 e del 10%. I beni di prima necessità dunque, almeno in prima battuta, non dovrebbero aumentare. Ma chi può escludere che non scontino anch’essi una ripercussione di aliquote più alte, magari pagate dai fornitori?

La decisione – che dovrebbe generare un gettito di 4 miliardi di euro – è dunque molto discutibile in quanto, come sottolinea Confesercenti, è destinata a creare inflazione.

Il Governo in fondo  dimostra di ignorare le difficoltà in cui si dibattono i mercati, già incrinati dalla recessione e appesantiti dalla scarsa propensione all’acquisto dei consumatori.