Limoni amari: tutti conoscono la storia, a partire dalle varie ricapitalizzazioni dell’insegna da parte del fondo Bridgepoint, subentrato al posto del proprietario Piofrancesco Borgetti, per finire recentemente con un collasso dovuto a un mare di debiti, 400 milioni, quanto il fatturato e poco meno dell numero dei punti di vendita, che sono sulle 500 unità, escludendo dal conto “La Gardenia” (circa 160 negozi) le cui sorti non sono state per ora decise.

Il 20 giugno è arrivata la decisione degli azionisti e del Cda: si è optato per una nuova offerta avanzata da Bridgepoint e dal fondo Orlando, offerta che prevede l'iniezione di 40 milioni da parte dei due private equity. Ma quali sono i progetti della cordata che ha fatto la minore pubblicità possibile alla conclusione dell’operazione?

Sul piatto della bilancia c’era un'altra offerta, davvero dettagliata, di gruppo Coin, che in fatto di non alimentare la sa lunga:  30 milioni subito, conversione da parte degli istituti di credito di  280 milioni di debiti per una fetta del 10% del capitale, con previsione per Coin di arrivare al 90%, 31 milioni di investimenti per ammodernare la rete nei prossimi due anni.

 

Intanto, ciliegina sulla torta,  sono scattati gli arresti per il Borghetti, per Nazzareno Brandoni, ex ad e direttore finanziario della catena e per Antonio Lemma, titolare di Vapro, una delle società fornitrici. Le accuse del Gip di Como, Francesco Angiolini, sono molto pesanti: associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita, all’evasione della Iva e ai reati fallimentari.

L’indagine è nata dai sospetti di Bridgepoint, il quale ha incaricato l’agenzia investigativa Kroll di controllare a tappeto la rete informatica degli ex dirigenti dell’azienda. Ne è saltata fuori una serie di maneggi che hanno visto il terzetto acquisire società, poi rivenderle, mantenendo però i posti chiave e svuotarle di risorse, avvalendosi di altre società piazzate strategicamente nei vari paradisi fiscali.