Gli indici di produzione industriale di dicembre scorso diffusi dall’Istat confermano la flessione della produzione del settore alimentare.

Secondo l’ufficio studi di Federalimentare, sulla base dei primi dati disaggregati resi disponibili, la variazione sui dodici mesi 2011/2010 sui dati grezzi evidenzia un calo della produzione alimentare pari all’1,7%, flessione che a parità di giornate lavorative sui dodici mesi si contrae al -1,1%, dato decisamente negativo anche in considerazione delle serie storiche della produzione industriale degli ultimi 40 anni.

Il 2011 segna, poi, un altro primato negativo: il settore alimentare conosce per la prima volta la flessione peggiore rispetto al totale industria, fermo al -0,7%.

Le cause di questo fenomeno di grave contrazione sono molteplici, ma vanno tutte ricercate nella recessione, che ha spinto gli italiani da un lato a tagliare in assoluto il proprio carrello della spesa e dall’altro a privilegiare soprattutto prodotti a basso costo, come private label, primi prezzi e generi discount.

Il tutto è successo in un anno appesantito dai contraccolpi della nuova manovra economica decretata dal Governo Monti, che, fra l’altro, ha innalzato le aliquote Iva spingendo ulteriormente verso l’alto i prezzi. L’inflazione è aumentata e dunque la popolazione si è fatta ancora più prudente. Gli attuali rincari dei carburanti, poi, destinati a ripercuotersi sulla logistica delle merci, non favoriranno certo un abbassamento dei costi dei beni.

Insomma anche il 2012, che qualcuno ha chiamato “l’anno del grande digiuno”, non si è aperto sicuramente sotto i migliori auspici. E in tutto questo i politici hanno avuto il coraggio di ventilare persino una nuova “food tax”, che dovrebbe colpire gli alimenti non in linea con i criteri di una vita improntata alla ricerca del salutismo.