Piccolo commercio e pubblici esercizi sempre più in difficoltà: a lanciare l’allarme è Confesercenti che, in una recente indagine osserva che, fra gennaio e agosto 2015 le chiusure hanno toccato il ritmo di 30 al giorno.

Dal 2012 a oggi ad abbassare la saracinesca per crisi sono state ben 300.000 attività. Gli immobili, dunque, si stanno deprezzando in modo vertiginoso, in quanto il calo dei consumi ha portato sul mercato ben 627.000 locali sfitti, una cifra che è pari al 25% della disponibilità totale e che sale al 40% in alcuni quartieri periferici o, comunque, nelle zone commerciali di minore interesse.

E’ proprio nelle aree meno ‘nobili’ delle grandi città e nei centri di piccole dimensioni che la desertificazione infierisce con maggiore forza, mentre si salvano i centri storici, dove però il livello delle locazioni ha raggiunto da tempo valori proibitivi e giustificabili solo a fronte di alti livelli di fatturato, sempre più difficili da ipotizzare.

Quali i possibili correttivi, oltre, ovviamente a quelli classici come la maggiore specializzazione dei negozi e dei servizi, il franchising, la compressione delle voci di costo?

Per agevolare il ripopolamento di botteghe, Confesercenti propone l’inserimento nella prossima legge di stabilità di un meccanismo “combinato” per riportare i negozi della città: una norma che permetta di introdurre canoni concordati e cedolare secca anche per gli affitti di locali commerciali.

“Per l’amministrazione comunale – constata la Confederazione - sarebbe un doppio investimento: sociale, con il ripopolamento delle aree oramai desertificate delle città, e fiscale.

“Secondo le elaborazioni del nostro ufficio economico, con l’introduzione di un canone concordato e cedolare secca potrebbero rinascere, nell’arco di due anni, circa 190.000 negozi. Per il fisco centrale e locale – tra gettito Irpef, Tari e Irap pagate dalle imprese – sarebbe un introito aggiuntivo di 1,5 miliardi di euro”.