La redazione di DM ha incontrato Vincenzo Tassinari, presidente di Coop Italia, per scoprire il punto di vista della catena leader in Italia rispetto a diversi temi “caldi”. Ecco cosa ci ha risposto.

Qual è il suo punto di vista circa le ormai imminenti decisioni della Commissione europea per la concorrenza capeggiata dal commissario Neelie Kroes? Le considerate una “spada di Damocle”? Qualora dovessero venire a mancare le agevolazioni fiscali che hanno finora caratterizzato il mondo delle cooperative, in che misura questo potrebbe mettervi in difficoltà? E i cambiamenti intervenuti a livello governativo crede che possano avere un’influenza nelle decisioni che verranno prese?


Io e tutti i cooperatori italiani attendiamo serenamente le decisioni che verranno prese sia a livello di Comunità europea che di governo italiano. L’importante è che finisca questa sciocca polemica di una cooperazione intesa come “concorrente sleale” perché non paga le tasse. Questo è un presupposto assolutamente non corrispondente al vero. Ritengo che, da un punto di vista fiscale, fortunatamente abbiamo i numeri per dimostrare che l’unica agevolazione che è rimasta è appunto l’imposta sul reddito delle imprese, dove viene tassato il 30% nella misura in cui questo non viene diviso tra i soci. Quindi è sicuramente una parte relativa assoggettata alla tassazione. Se la finalità è quella di reinvestire nelle imprese io non vedo niente di strano se una possibilità di questo tipo viene allargata anche ad altre aziende. La riduzione di imposte compensa il problema di non accesso al mercato finanziario ed è reddito non goduto, perché viene reinvestito nelle imprese stesse. Magari questo sistema di imprese in Italia avesse funzionato come ha funzionato la cooperazione portando benefici all’economia del paese. Il capitale della cooperazione è tutto reinvestito nello sviluppo delle cooperative e a tutt’oggi credo che avere in Italia un leader della distribuzione moderna italiano che sia un asset per l’economia del nostro paese è qualcosa di molto positivo.

Parliamo del 1° maggio e della rottura di un tabù a seguito dell’apertura di diversi ipermercati Coop. Cosa ne pensa al riguardo?


Si pensa sempre in modo caricaturale alla cooperazione come di una costola della politica ideologica di qualche partito. E’ sbagliato, perché noi che siamo un sistema di imprese economiche cooperative rispettiamo i valori del lavoro, più di chiunque altro…

Però anche quelli del profitto.

Il problema di questa famigerata apertura del 1° maggio, tra l’altro non generalizzata in tutta la cooperazione, non è un problema della Coop. Perché la festa del lavoro deve essere rispettata dai soli lavoratori della Coop e non da quelli di un nostro concorrente? Questo è il tema. Se il 1° maggio sono chiusi tutte le catene della distribuzione è una cosa, ma se tutti gli altri retailer tengono aperti e solo la Coop chiude, quel consumatore che cerca il servizio e lo trova da un concorrente… sono solo polemiche e strumentalizzazioni…

Forse anni fa questo non avveniva.

Perché c’era un contesto competitivo diverso. Bisogna sempre calare le cose dentro la realtà del mercato. Io non sono certo dell’idea di esasperare il lavoro per 365 giorni all’anno: ci sono delle festività religiose e civili che vanno rispettate. Però il problema è di farlo in armonia col mercato, altrimenti si crea un disvalore che Coop non può permettersi.

E’ di pochi giorni fa il lancio dell’antinfluenzale firmato Coop, quindi un potenziamento del servizio di parafarmacia se non addirittura, in prospettiva, di una farmacia vera e propria. C’è stato poi l’ingresso nell’ambito della telefonia, in quello dei servizi turistici, assicurativi ecc. In che misura lo sviluppo dei servizi al consumatore rientra nelle vostre strategie competitive e quali sono gli asset su cui queste strategie fanno leva?

Noi siamo nati nel 1854 per difendere il potere d’acquisto dei primi soci, con prodotti di prima necessità - il pane, la farina, lo zucchero – ed è vero che il cuore di questa missione nel corso di 150 anni si è mantenuto: difendere il potere d’acquisto di sei milioni e mezzo di soci. Ma è pur vero che in 150 anni la società si è evoluta, le esigenze del consumatore si sono modernizzate. Chi allora si sarebbe posto un problema di salubrità dell’alimentazione? Di tutela dell’ambiente? Di eticità della produzione? Queste sono nuove esigenze che il consumatore ha sentito e quindi Coop ha evoluto la sua missione rispetto al cuore del potere d’acquisto. Potere d’acquisto sì, ma con il rispetto di determinati valori. Questo è molto focalizzato nell’alimentazione, nel food, che è sull’ordine del 14-15% del reddito del consumatore. Si riduce perciò sempre di più la spesa del consumatore sul food e si amplia su tutta un’altra serie di beni e servizi. Quindi la Coop deve evolvere la sua missione anche in altri settori e servizi. E’ un’evoluzione, perché il consumatore telefona sempre di più, perché è attento alla propria salute. Direi che l’ampliamento dei campi di intervento della Coop in questi settori è una condotta coerente alla nostra missione originaria. Troverei assolutamente improprio che una Coop forte – perché in 150 anni siamo diventati la prima realtà associativa in Italia - non fosse utilizzata per tutelare l’interesse dei nostri consumatori.

E i carburanti?


I carburanti e l’energia sono allo studio. E’ ovvio che se i progetti sono quelli di pochi centesimi di risparmio… non come invece abbiamo fatto sia sulla telefonia che sui farmaci, dove abbiamo riversato quote consistenti – dal 20% al 25% di risparmio –  allora il problema di fare solo uno sconto in più, non è tanto un progetto strategico ma quanto invece una logica di marketing che può anche starci, ma che in definitiva lascia un po’ il tempo che trova.