“Per noi stare in famiglia non vuol dire vendere i prodotti ma aprire le porte della nostra azienda in un modo virtuale per un numero di settimane e invitare i nostri clienti, i nostri consumatori e le persone che lavorano con noi a passare dei momenti intorno ad una tavola e a del buon cibo”. Con queste parole Piergiorgio Burei, direttore Generale di Star, racconta ai microfoni di DM la nuova avventura del temporary store milanese e ne approfitta per fare il punto della situazione sul mercato e sulle strategie intraprese nell'ultimo periodo dall’azienda.

Oggi inaugurate questo temporary store, un’iniziativa abbastanza inedito per Star. mi chiedevo che cosa c’è dietro e se si tratta di un esperimento estemporaneo oppure della punta dell’iceberg di un progetto più strutturato e articolato.

Diciamo che sicuramente è un progetto che stupisce. Io, personalmente, ritengo che Star abbia abituato i propri clienti ad essere stupiti, con i lanci di nuovi prodotti originali come i noodles, con campagne che hanno fatto tendenza, come quella del ragù nello stabilimento con persone che lavorano per noi e che spiegano come si fanno i nostri prodotti.

In tutte le nostre comunicazioni parliamo di “stare in famiglia”, ma non è solo uno slogan, è qualcosa che ci piace scrivere sui muri dei nostri uffici, all’interno delle campagne pubblicitarie e soprattutto portare alla vita realizzando progetti concreti. Questa è l’ultima iniziativa che abbiamo ideato, a cui sicuramente faranno seguito altre, proprio per rendere tangibile questo concetto dello “stare in famiglia”.

Ci spieghi bene questo concetto...

Per noi stare in famiglia non vuol dire vendere i prodotti perché qui dentro non venderemo niente, ma aprire le porte della nostra azienda in un modo virtuale per un numero di settimane e invitare i nostri clienti, i nostri consumatori e le persone che lavorano con noi a passare dei momenti intorno ad una tavola e a del buon cibo. Per noi mettere le persone intorno ad una tavola con del buon cibo è creare una famiglia, creare un momento familiare. Sia che si tratti di una famiglia moderna o di una famiglia più o meno strutturata alla fine è quello che ci piace pensare.
Qui tutto ruoterà intorno all’alimentazione: ci saranno dei momenti di cucina, in cui inviteremo i consumatori a mettersi ai fornelli, dei momenti in cui convocheremo degli chef o altri ancora in cui chiederemo ai clienti di improvvisarsi cuochi; ma non sarà solo questo. Parleremo di nutrizione, discuteremo insieme del modo migliore di fotografare il food per metterlo su instagram e così via. È uno spazio vivo, ogni giorno ci sarà un palinsesto che cambierà nel tempo, ma sicuramente cercheremo di rispecchiare e rispettare tutti gli aspetti del nostro modo di fare azienda.

Dunque un luogo di incontro, per stare insieme, ma che si limiterà solo a Milano o avete in mente di aprire anche da altre parti un po’ come sta facendo Unilever con i Magnum Store? Volete aspettare le evidenze di questo progetto?

Per noi è un’esperienza nuova: aprire un temporary che in realtà non è un negozio perché non vende niente, ma semplicemente mette in mostra una grande cucina, è un esperimento nuovo sia per noi che per il mercato. Allo stesso modo ci siamo inventati una grandissima cucina all’interno dei nostri nuovi uffici che è diventata un enorme spazio di lavoro permettendoci di fare delle riunioni, di provare i prodotti, di invitare i consumatori perché cucinassero con noi e così via. L’esperimento del temporary va nella stessa direzione e tutto dipende molto da quello che riusciremo a mettere in moto: non misureremo il successo di questo spazio dalle centinaia o migliaia di persone che passeranno di qua, non abbiamo un contapersone, ma dalla quantità di interesse e di interazione che riusciremo a generare. Il tutto sarà misurato alla fine dalla comunicazione che questo genererà, non solo per quanto appariremo sulla stampa, ma soprattutto per quanto i consumatori saranno invogliati a entrare in contatto, a chiederci delle cose, a curiosare, a provare i prodotti e a registrarsi al sito per entrare nella “nostra famiglia”. Questo sarà il valore di un’iniziativa come questa che ci permetterà, non è un segreto, di farne un pilota e replicare in altre città.

Come ha chiuso Star lo scorso anno e che cosa bolle in pentola per il 2015?

Star è nel mezzo di un cambiamento molto profondo che si misura nell’organizzazione, negli uffici, nella comunicazione e sicuramente anche nel modo di fare business: è un cambiamento volto a tornare alla crescita e io sono contento di dire che nei primi mesi del 2015 stiamo registrando numeri positivi dal punto di vista di crescita del fatturato e soprattutto di incremento delle categorie dove operiamo e di risultato in termini di quota di mercato. Avere una posizione molto importante in una categoria si misura in primis con la capacità di far crescere la categoria stessa. Il 2015 fortunatamente è un anno che è partito bene, non ci sono cambiamenti radicali in fatto di numeri.

Gli ultimi anni sono stati difficili per le aziende del food, i consumi sono calati e c’è stato un riposizionamento della spesa su prodotti di qualità e prezzo inferiori. Voi come avete vissuto questa fase?

Abbiamo cercato di approfittare di questo periodo difficile per fare delle scelte radicali, cambiando il nostro modo di fare business in tutte le aree. Abbiamo cercato di compiere delle scelte di medio e lungo periodo, al di là dei risultati conseguibili nel brevissimo periodo. Dal punto di vista commerciale, abbiamo deciso in primis di lavorare sull’equazione di valore dei nostri prodotti, cioè il valore che io do al consumatore rispetto al prezzo che paga: questo significa cercare di avere un prezzo più basso possibile e investire sul valore, la qualità dei prodotti, la varietà, i formati, la capacità di aggiornare la propria offerta. Abbiamo puntato molto anche sulla comunicazione: negli ultimi anni siamo cresciuti a doppia cifra negli investimenti e questo ci ha permesso di alimentare la crescita delle categorie e di avere una posizione competitiva solida e sostenibile del tempo, strategia che nel lungo periodo ripaga. Progressivamente riusciamo infatti a investire su più prodotti e su un portafoglio più ampio, nonostante gli investimenti in innovazione in Italia abbiano un costo molto elevato. Ne è un chiaro esempio il lancio della famiglia dei noodles, i Saikebon, che è stato uno dei lanci di maggior successo sul mercato del largo consumo nel 2014 e per i quali abbiamo raddoppiato gli investimenti nel 2015. Il mercato dei piatti pronti, che perdeva centinaia di milioni di euro da diversi anni, nel totale negli ultimi due anni è tornato a crescere a doppia cifra e questo per noi è il segno più tangibile di quello che facciamo.

In futuro prevedete una focalizzazione sulle categorie merceologiche in cui tradizionalmente siete stati presenti oppure di entrare in nuove?

Per la dimensione che abbiamo, siamo un’azienda medio-grande, abbiamo un assortimento di prodotti che va dai dadi, ai sughi, al tè, alle tisane, ai pomodori.. per cui la nostra necessità di focalizzare le risorse è assolutamente un imperativo ed è una cosa che abbiamo cercato di fare in modo rigoroso negli ultimi anni. Cerchiamo di fare entrambe le cose: siamo tornati ad investire sui prodotti classici di questa azienda come il dado e il GranRagù, ma al tempo stesso stiamo investendo sulle ultime innovazioni come il brodo liquido, che è una categoria che abbiamo creato e ha successo, e stiamo investendo nel creare una nuova categoria come quella dei noodles. Pur all’interno di una estrema focalizzazione, per ogni segmento cerchiamo di scegliere una scommessa importante e su questo puntare tutto.


Pare che ci sia qualche timido segnale di ripresa, lei faceva riferimento ad un inizio d’anno che registra delle buone performance: credete di poter beneficiare di questa inversione di tendenza?

Contiamo di chiudere un ottimo 2015, per noi è importante e sicuramente abbiamo investito molto in termini di costruzione negli scorsi anni per arrivare a questo risultato. Siamo un’azienda ottimista che crede nel futuro e investe molto nel futuro. Io credo che Star ricopra due ruoli: il primo è quello di alimentare l’ottimismo delle persone e dell’opinione pubblica perché una delle cose più importanti per generare ripresa è quello che le persone si aspettando guardando avanti e noi come sistema industriale da questo punto di vista abbiamo un compito importante perché alla fine quello che comunichiamo, la quantità, la qualità e la modalità con cui lo facciamo hanno un grande influsso. Dall’altra parte bisogna approfittare di questo trend positivo in modo intelligente dal punto di vista degli investimenti promozionali: noi cerchiamo di lavorare sempre in partnership con il trade e cerchiamo di fare delle scelte promozionali che privilegino un po’ la crescita di medio-lungo periodo piuttosto che una fortissima competizione orizzontale nel breve periodo, che alla fine rischia di fare maggiore danno.


Stefania Lorusso