Nato su iniziativa dell’imprenditore lucano, Umberto Montano, Presidente e fondatore, Mercato Centrale è un format totalmente innovativo che si prefigge di restituire centralità alla figura degli artigiani e ai loro prodotti, di ridare alle città un luogo importante e un’ideale piazza della bontà, di creare, produrre e condividere momenti ed eventi culturali.
Il brand è presente, dal 2014, a Firenze, dove ha rivitalizzato il primo piano dello storico mercato coperto di San Lorenzo, ancora a Firenze presso il Centro Commerciale ‘I Gigli’ e, dall’autunno 2016, a Roma, in via Giolitti, dove sorge la Stazione Termini, forte di oltre 150 milioni di visitatori annui.
Il 13 aprile Mercato Centrale ha aperto a Torino: 4.500 mq su 3 livelli. L’insediamento è stato ricavato grazie all’operazione di recupero del Palafuksas, complesso concepito dall’archistar Massimiliano Fuksas nel 1997. La location si avvantaggia, fra l’altro, della vicinanza del mercato all’aperto di Porta Palazzo. Ubicato in Piazza della Repubblica è il più grande mercato d’Europa: si estende su un’area di 51.300 metri quadrati, e ospita, fra l’altro, 1.000 operatori ambulanti. L’intera area mercatale, secondo le statistiche del Comune, è visitata da oltre 100.000 persone la settimana. E in dicembre Mercato Centrale taglierà il nastro anche a Milano, nel complesso della Stazione Centrale, dove andrà a occupare un’area in Via Sammartini, sul lato Ovest dello scalo milanese, scalo che vuol dire 120 milioni di passeggeri ogni 12 mesi. A raccontarci questa straordinaria storia d’impresa è lo stesso Umberto Montano.


Cominciamo da Milano: quali sono i rapporti con Grandi Stazioni Retail?

La prossima apertura meneghina, su 4.400 mq, praticamente come a Torino, trae vantaggio, fra l’altro, proprio da un rapporto esemplare con Grandi Stazioni Retail. C’è comunità di intenti e di strategie, visto che il partner crede, come noi, nella riqualificazione di luoghi spesso in disuso attraverso il reperimento di nuovi modi di trascorrere il tempo libero nelle città italiane. Questo permette di sviluppare, anche a Milano, un progetto molto interessante, visto che la città è ormai il cuore, anche distributivo, d’Italia, con il lancio continuo di format, innovativi ed evoluti. La nostra impostazione, nel capoluogo meneghino, ricalca quella già adottata per le altre città, ma con un’enfasi ancora maggiore all’estetica architettonica e la solita selezione accurata di protagonisti del cibo artigianale. In sostanza il Mercato si propone uguale a sé stesso, ma con un ulteriore innalzamento, che sottolinea in maniera ancora più marcata la nostra scelta esclusiva delle eccellenze alimentari da scoprire o riscoprire.

Centoventi milioni di visitatori per Milano Centrale: una bella opportunità…

Solo in un certo senso. Devo infatti precisare che Mercato Centrale, pur essendo già presente nell’area della Stazione Termini, non vuole essere una formula orientata ai viaggiatori, ma, più in generale, un luogo di aggregazione sociale e culturale intorno ai tesori del nostro alimentare destinato ai Milanesi e a chi abita la città. La nostra presenza nei due grandi scali è più che altro dovuta alla scelta di immobili che sono ideali per dimensioni e collocazione in quartieri molto popolari. Infatti, a Termini, il pubblico romano rappresenta il 70% dei frequentatori, mentre i viaggiatori sono il 30%, una quota interessante, ma non certo preponderante. All’inizio, nel 2016, il rapporto era addirittura di 90 e 10 per cento. Il pubblico che arriva al Mercato Centrale non lo fa per caso, ma è consapevole e motivato, avendo scelto una meta precisa. Devo anche dire che il Mercato, sia il nostro, sia il mercato aperto e coperto in generale, non è fatto per il centro città e per le zone più blasonate, ma per il ‘ventre’ urbano, popolare, dove c’è la vita, dove ci si incontra, dove ci si ferma a parlare e dove, fra le altre cose, si acquista.

Torino Porta Palazzo: appena 5 mesi di attività e una location architettonica prestigiosa. Quali sono le sue prime considerazioni?

Il Palafuksas di Piazza della Repubblica era un luogo dimenticato dagli stessi torinesi, che lo reputavano un edificio di scarso pregio, un luogo più da evitare che da frequentare. Le iniziative intraprese negli ultimi 20 anni, per dargli vita, non avevano sortito alcun risultato. Invece la struttura, davvero imponente, con i suoi 7.000 mq totali e firmata da un grande della nostra architettura, capace di guardare a strutture forse troppo avveniristiche per gli anni Novanta, è oggi, con la vita dentro, apprezzata, rivalutata, in una parola ritrovata e restituita alla cittadinanza. E questo mi rende molto orgoglioso. Per il resto il successo è frutto del ritmo di Torino, una città giovane e viva che come altre grandi città italiane ha bisogno di luoghi dove trascorrere, in modo nuovo e sano, il tempo libero, specie durante il fine settimana.

Molti vi paragonano a Eataly: lei cosa ne dice?

I punti di tangenza ci sono relativamente al contributo che offrono, entrambi i progetti, alla riscoperta e valorizzazione del prodotto alimentare italiano. Eataly tratta il meglio del prodotto italiano confezionato, portato sugli scaffali. Mercato Centrale, invece, mette in evidenza il saper fare degli artigiani, di quei mestieri che talora sono stati messi in un angolo o sembravano destinati a sparire. Il pescivendolo, il salumiere, il macellaio sono oggi mestieri poco valorizzati o messi alle corde da affitti esorbitanti in rapporto al fatturato. Per Mercato Centrale questi ‘maestri del fare’ rappresentano uno dei punti di forza della cultura enogastronomica italiana e sono da salvaguardare per la tutela del patrimonio di buone pratiche che caratterizzano la nostra cucina.

Come nasce Mercato Centrale?

E’ la sintesi di tutta la mia vita di lavoro. Mi occupo di cibo da sempre e ho insegnato in una scuola alberghiera per 20 anni. Dunque, fin dagli anni Ottanta, è stato naturale per me pensare alla ristorazione e distribuzione di cibo di qualità. A Mercato Centrale sono pervenuto negli anni Duemila, quando il Comune di Firenze ha deciso di dare in concessione gli spazi dello storico mercato coperto di San Lorenzo. Tutto è partito dall’amicizia con quello che poi è diventato il mio socio, Claudio Cardini, a capo di Human Company, un interessantissimo gruppo che si occupa di turismo all’aria aperta; alla terza asta, andata deserta, abbiamo partecipato, unico concorrente in gara, aggiudicandoci il primo piano dell’edificio del mercato centrale. È da qui che è nato l’attuale Mercato Centrale: 3.000 mq che danno valore al nostro artigianato alimentare. Si tratta insomma di un progetto di aggregazione di risorse artigianali che operano per la produzione di cibo ‘buono’. Il Mercato Centrale li colloca sotto un unico tetto, permettendo loro di dare un plus in termini di servizio. La sintesi è volere dare un prodotto al meglio, grazie al saper fare di questi ‘Maestri del gusto’.

E gli aspetti culturali?

Questo elemento entra in gioco perché io ho aperto, nel 1981, a Firenze, in Via del Proconsole, il ristorante Le Murate, che, dal 2005 ha dovuto confrontarsi seriamente con la cultura. Infatti nel sito è stato reperito un ciclo di affreschi del Trecento, che comprende l’unico ritratto documentato di Dante Alighieri. E’ stato per me un evento immenso, eccezionale, che mi ha riempito di soddisfazione in quanto ha messo a diretto contatto l’arte con l’attività di impresa, dando energia a me e a tutti i miei collaboratori e creando per noi, come custodi di questo patrimonio, la possibilità di aprire il locale a una serie di attività che hanno confermato come la tradizione è, soprattutto in Italia, un concetto unico, che abbraccia qualsiasi espressione, dall’arte culinaria fino alle vette dell’arte.

Ha fatto tutto da solo?

Mia è l’idea, ma i grandi progetti non si realizzano in solitaria. A monte di tutto c’è stata e c’è l’amicizia con Claudio Cardini, di cui ho detto prima, e che, con il gruppo Human Company, rappresenta l’altra metà del progetto. Ma soprattutto ci sono oggi, uomini e donne di grande valore che sanno dare vitalità e professionalità a un progetto che, senza l’elemento forte della passione comune, non potrebbe godere del successo che ha. Un particolare merito va a mio figlio Domenico, direttore generale del Mercato Centrale, che guida in maniera esemplare una squadra che oggi mi sentirei di definire ‘invincibile’.

La coabitazione con ‘I Gigli’ di Firenze non è, in un certo senso, un’anomalia?

In parte lo è, anche se i centri commerciali sono anch’essi grandi luoghi di vita e di svago. Ma l’azienda ha oggi una configurazione molto precisa e dunque, il Mercato, in questo caso su 2.000 mq, ha assunto la denominazione ‘Ai banchi del Mercato Centrale’. Qui, essendo in un contesto immensamente più grande di noi (72.000 mq, ndr.), non possiamo avere un legame diretto con la città e diventiamo soprattutto propositori di un servizio sempre di alta qualità, sempre coerente con la nostra filosofia, ma ambientato in un contesto differente da quello connaturato al mercato dove, per esempio, manca tutta quella parte caratterizzante che attiene alle attività culturali.

Concludiamo con le vostre cifre chiave e con i progetti futuri…

Oggi, senza contare il punto vendita di Torino, che è un nuovo nato, contiamo 7,5 milioni di visitatori l’anno, per un fatturato di 48 milioni. Con Torino e Milano raggiungeremo, nel 2022, i 90 milioni di euro e più di 1.500 lavoratori contro i poco più di 1.000 di oggi. Le ulteriori aperture dovranno effettuarsi con prudenza, visto che Mercato Centrale ogni volta deve essere adattato al territorio. Del resto sono convinto che la crescita, almeno in un caso come il nostro, non possa essere incondizionata, se non si vuole perdere il valore fondante di artigiani che collaborano a un piano comune. Perdere la guida, in cambio dello sviluppo, vorrebbe dire snaturare l’azienda. Si può anche pensare a Parigi o Londra, ma a patto che tutto rimanga all’interno di una logica che ci permetta di non perdere la bussola. Ma per ora concentriamoci su Milano…