È decisamente positivo il quadro che emerge dall’ultima “Indagine sul settore vinicolo”, condotta da MBR&S, l’ufficio studi di Mediobanca. L’analisi annuale, rilasciata il 7 aprile, è suddivisa in due parti. La prima riguarda le 140 principali società di capitali italiane operanti nel settore che nel 2015 hanno fatturato più di 25 milioni di euro. Le cifre sono state corroborate con interviste alle imprese, volte a valutare i dati pre-consuntivi del 2016, le attese sulle vendite 2017 e alcuni aspetti della struttura commerciale. La seconda sezione contiene due capitoli. Il primo analizza l’aggregato 2006-2015 delle 14 maggiori imprese internazionali quotate con fatturato superiore a 150 milioni. Il secondo illustra la dinamica, tra 2001 e 2017 (metà marzo), dell’indice mondiale di Borsa delle imprese vinicole quotate.

Il fatturato aggregato delle 140 società vinicole italiane è cresciuto nel 2015 del 5,1 per cento – si legge nella ricerca -. Si tratta del secondo anno meno brillante dal 2011, ma in forte ripresa dopo il ristagno del 2014 (+0,3%). I pre-consuntivi 2016 segnalano un’accelerazione della crescita: +6% le vendite totali, +5,3% in Italia, +6,6% oltre confine, soprattutto grazie agli spumanti che avanzano del 13,6%, con incrementi del 14,1% sul mercato domestico e del 13% all’estero”. Nel complesso, la crescita del fatturato dal 2011 è risultata decisamente superiore a quella della media manifatturiera (+11,7 per cento).

I consuntivi del 2015 hanno segnato un significativo incremento sull’anno precedente delle imprese in forte espansione, ovvero quelle con fatturato in crescita di oltre il 10% sul 2014 e la riduzione di quelle con flessioni del giro d’affari, mentre la quota degli operatori con crescita intermedia è rimasta sostanzialmente invariata. In parole povere chi andava bene va sempre meglio e viceversa, una tendenza, che, nei preconsuntivi 2016 e nelle aspettative per il 2017, è destinata addirittura ad accentuarsi.

“I tre maggiori produttori per fatturato nel 2016 – scrive l’ufficio studi - sono stati il gruppo Cantine Riunite-GIV (566 milioni di euro, +3,6% sul 2015), Caviro (304 milioni, +1,1%) e Antinori (218 milioni, +4,5%). Seguono Zonin, che nel 2016 ha realizzato una crescita del 5,1% portandosi a 193 milioni di euro e Cavit a 178 milioni di euro (+6,7%). Chiudono la lista dei primi 30 operatori La Vis, Mionetto, Banfi, Masi e Gancia”.

Sette società hanno realizzato nel 2016 un aumento dei ricavi superiore al 10%: La Marca (+33,9%), Santa Margherita (+32,9%), Vivo (+25,4%), Villa Sandi (+20,7%), Lunelli (+13,4%), Mionetto (+11,3%) e Cantina Cooperativa di Soave (+10,3%).

“Anche per il 2016 – prosegue MBR&S - le società toscane e venete sono in testa per redditività (utile/fatturato) con Frescobaldi al 22,5%, Santa Margherita al 21,3% e Antinori al 21%, seguite da Ruffino (16,7%), Masi (9,3%), Botter (8,8%) e Villa Sandi (8%)”.

I due principali indici di redditività delle 140, il Roi e il Roe, sono decisamente in salita: mentre il primo passa dal 6,4% del 2014 al 6,7% del 2015, il secondo raggiunge il 6,6% nel 2015 dal 5,9% del 2014, dopo il 2,7% del 2013 e il 3,4% del biennio 2012-2011. Questo trend virtuoso si spiega con una crescita degli utili netti (+19,4%) e con minori imposte (-3,7%). “Nel complesso, quindi, la redditività operativa appare in miglioramento nel quinquennio; quella netta segna nel 2014 una decisa ripresa. La struttura finanziaria – scrive Mediobanca - è complessivamente solida con debiti finanziari che nel 2015 rappresentano il 67,8% dei mezzi propri, il minimo del quinquennio. Qui il rafforzamento patrimoniale si è dispiegato in modo continuativo tra 2011 (76,5% il rapporto), 2013 (73,8) e 2014 (71,9), interrompendosi solo nel 2012. Positiva anche la dinamica degli organici, in crescita del 5,1% sul 2011 e del 3,1% sul 2014”.

Bene anche per la produttività del lavoro e per gli investimenti che segnalano, nell’intervallo 2014-2015, un’impennata di quasi dieci punti.

Per quanto riguarda la struttura patrimoniale, il mondo vinicolo, come molti altri settori agroindustriali italiani, vede una netta predominanza del controllo familiare, che tocca quasi il 60 per cento. “Se si assimilino alla forma familiare le cooperative, che raccolgono circa 34.100 soci – puntualizza il report - si aggiunge un’ulteriore quota del 21,3% che porta il totale del patrimonio netto familiare al 77,2%. Il restante 22,8% dei mezzi propri è riferibile per il 13,5 a investitori finanziari e per il 9,3 a società straniere”. I soci in questi casi sono soprattutto le banche, mentre assicurazioni, fondi, trust e fiduciarie hanno presenze molto meno significative.

Per saperne di più scarica l'indagine di MBR&S