E’ stata per prima Coldiretti a lanciare la notizia, bruciando sul tempo gli stessi giornali e persino le agenzie, e annunciando che AR Industrie Alimentari - conserve rosse - era stata girata a una collegata anglo-nipponica del Gruppo Mitsubishi e precisamente Princes Ltd, un colosso specializzato, per almeno il 50% del proprio business, nelle private label, con un fatturato di 1,6 miliardi di euro e performance finanziarie e di mercato che la collocano decisamente nel salotto buono delle aziende europee.

Segnalare la rincorsa di Princes da una quota del 7% a una del 51% in quella che è la maggiore azienda italiana dei pelati e delle passate, ha avuto per Coldiretti un ovvio significato politico e istituzionale: deprecare il fatto che tanti fiori all’occhiello del made in Italy, da Parmalat a Gancia, passino tanto facilmente in mani estere. La confederazione, invece, invita il settore primario nazionale a fare quadrato, a darsi solide linee di condotta e a creare una filiera compatta, tale da sostenere, a monte, l’industria di trasformazione.

L’annuncio ha lasciato molte persone abbastanza attonite. AR dell’imprenditore Antonino Russo, 81 anni molto ben portati, non è quasi conosciuta da nessuno. Per quale motivo? Perché in effetti, a parte qualche piccolo marchio di minore rilevanza, si tratta di uno specialista della marca propria che, come si legge sul sito aziendale, si è affermato nel corso degli anni come partner qualificato e affidabile di aziende leader di mercato e delle principali catene di distribuzione in Italia e all'estero.

I mercati stranieri primeggiano, con un giro d'affari che spazia fra il 30% per l'Inghilterra, il 20% per la Germania, il 10% per l'Africa, l'8% per la Francia, con una percentuale minore per la Grecia, gli Stati Uniti, il Canada, il Giappone, l'Austria e il Sud America.  Solo il 20% delle vendite è  realizzato in Italia, dove tuttavia l'azienda conta fra i suoi clienti alcuni tra i più importanti nomi del settore.

Fondata nei primi anni Sessanta, quando si chiamava “La Gotica”, la società presenta oggi conti di tutto rispetto. Quasi 300 milioni di fatturato, in crescita del 7%, 30 milioni di Mol, utili netti pari a 13,7 milioni. Ma il neo è nell’indebitamento finanziario, che tocca i 127 milioni (dati 2009, ultimi disponibili). Così quando l’azienda ha deciso di affrontare un investimento da 80 milioni, per costruire uno stabilimento modello a Foggia, l’architettura contabile ha probabilmente cominciato a traballare. Il ricorso al potentissimo socio di minoranza è stato abbastanza naturale. Un socio che ha messo a segno, nella propria storia, ben 22 acquisizioni e che ha una potenza di fuoco di 11 impianti produttivi.

Ufficialmente il deal non è stato ancora comunicato e non è nemmeno noto il prezzo della transazione, ma il matrimonio siglato fra italiani e anglo-nipponici apre la strada a nuovi, importanti traguardi per AR, con buona pace di coloro che, abitualmente, si danno al piagnisteo sulle aziende nazionali che se ne vanno oltre confine, senza capire che, dai tempi del protezionismo a oggi, il mercato è diventato globale.