Ma allora questa benedetta Fnac è in vendita o non è in vendita? In settimana nostre fonti confidenziali francesi davano per certa l’immissione sul mercato della famosa insegna di editoria e informatica.

Intanto in Italia si svolgevano colloqui serrati, quanto inconcludenti, tra i sindacati e la proprietà sul ridimensionamento del personale del negozio del Vomero, a Napoli. I soliti bene infomati ipotizzavano che nel celebre quartiere partenopeo sarebbe venuto, in sostituzione, Media World, mentre a Milano, in Via Torino, si sarebbe insediata Apple, che dopo la batosta subita in occasione della messa all’asta dell’ex McDonald’s di Galleria Vittorio Emanuele, è sempre alla ricerca, in ottemperanza ai dettami del compianto leader Steve Jobs, di una casa nel Capolugo meneghino.

Ma qual è la verità dei titolari, ossia di quel gruppo Ppr, Pinault-Printemps-La Redoute, che ha interessi ramificati soprattutto nelle grandi marche del lusso  e nella vendita a distanza, e che ha sviluppato anche nel 2011 performance da record, con una crescita del risultato netto del 26,4%, un balzo del risultato operativo del 16,9%, e un’impennata del fatturato dell’11,1% e che medita di raddoppiare i ricavi entro il 2020, per raggiungere la cifra di 24 miliardi, contro gli attuali 12,2?

Fnac, che in Italia controlla 8 punti di vendita – Firenze, Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino Centro, Torino Le Gru, Verona – non ha certo chiuso l’anno con risultati brillanti: 4,2 miliardi di ricavi a livello mondiale, in flessione del 3%, utile operativo della gestione caratterisca dimezzato, fino 102,6 milioni.

Ppr, sull’affaire, ha diramato, al di là dei rumors e della ridda di ipotesi, un dettagliatissimo comunicato, che parte dalla constazione che i mercati su cui opera il retailer dell’editoria, sono in calo per colpa della crisi, con una particolare accentuazione sull’elettronica che ha registrato una caduta del 15% a partire dal mese di aprile.

Dunque la proprietà ha intrapreso un piano di ridimensionamento dei costi pari a un saving di 80 milioni, che si concentrerà su tre elementi chiave: riduzione drastica delle spese correnti, rinegoziazione dei canoni di affitto dell’insieme dei negozi (156 in tutto), revisione generale dei contratti di fornitura nei campi delle prestazioni tecniche e della logistica. “Questo progetto – scrive Ppr – comporta anche un congelamento delle nuove assunzioni nell’insieme dei Paesi, una politica di moderazione salariale e la soppressione di 310 posti in Francia”. Saranno anche incentivate le dimissioni e 200 posti, negli altri Paesi, saranno cancellati mediante la mancata sostituzione di chi accetterà di lasciare l’azienda.

Per quanto concerne l’Italia Fnac – recita la nota - sta studiando tutte le opzioni e prenderà una decisione nel corso dell’esercizio.

Sull’altro lato c’è un piano di riorganizzazione, denominato “Fnac 2015” e incentrato sui seguenti punti: maggiore capillarità della rete commerciale in un’ottica di prossimità con l’apertura di una decina di nuovi negozi più piccoli; estensione della gamma di offerta commerciale ai prodotti per l’infanzia e per la famiglia (44 aperture di vetrine dedicate); installazione nei magazzini già operativi di spazi consacrati alla telefonia; potenziamento del commercio elettronico, con maggiori servizi e con l’aggiunta, già quest’anno, di Fnac Mobile.

Secondo il Presidente, Alexandre Bompard, “è solo coniugando i risparmi e i piani di crescita, che Fnac ritroverà la strada della competitività e della crescita, riaffermando così il suo ruolo di punto di riferimento del mercato”.

Insomma tutto è abbastanza chiaro. Fnac non è in vendita, ma in dieta. I tagli del personale ci saranno e saranno robusti. Infine, per quanto riguarda l’Italia, la decisione è per ora rimandata e comunque non si possono prevederne gli esiti. Ipotizzare la vendita o, al contario, l’applicazione anche da noi del nuovo piano commerciale, è parimenti azzardato.