Giovedì 5 e venerdì 6 si è tenuto a Salerno il Food World Summit (IFW). L’evento, il primo del genere in Italia, promosso dal gruppo VéGé, ha preceduto di un giorno la riunione dei tavoli tematici di Expo2015 anticipandone i temi di maggiore attualità: la tutela del Made in Italy, la valorizzazione delle eccellenze produttive e lo sviluppo dell’export.

Le piccole e medie imprese del settore alimentare per uscire dalla crisi devono puntare sull’internazionalizzazione ma anche sulla Distribuzione Organizzata, con cui bisogna ripensare insieme il modello di business. E’ il messaggio forte che viene da Salerno dove giovedì 5 e venerdì 6 si è tenuto il primo all’Italy Food World Summit (IFW).

L’evento, il primo del genere in Italia, promosso dal gruppo VeGè, ha preceduto di un giorno la riunione dei tavoli tematici di Expo2015 anticipandone i temi di maggiore attualità: la tutela del Made in Italy, la valorizzazione delle eccellenze produttive e lo sviluppo dell’export. Proprio quest’ultimo tema è stato al centro della prima delle due giornate di lavori dell’IFW 2015, caratterizzata da tre sessioni di matching sull’internazionalizzazione su alcuni dei principali mercati d’interesse per le imprese italiane: Stati Uniti, Russia ed Emirati Arabi.


Agli incontri hanno partecipato imprenditori provenienti da diverse regioni che hanno avuto l’opportunità di confrontarsi e approcciare 15 delegati esteri tra cui i rappresentati della Camera di Commercio Italo/Americana Midwest, di quella Italo/Russa e del Dipartimento dello Sviluppo Economico del Governo di Dubai. “Il punto debole dell’agroalimentare italiano è la mancanza di competitività sui mercati esteri. Non sappiamo fare squadra, non abbiamo una strategia precisa. Noi produciamo più della Germania ma la Germania esporta più di noi. C’è bisogno di una nuova alleanza tra produzione e distribuzione, con le insegne italiane ma anche quelle estere”.  E’ andato giù duro il Vice Ministro alla Politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Olivero parlando ai circa 400 imprenditori e manager del settore agroalimentare ma anche rappresentati di enti e istituzioni e giornalisti, proponendo un nuovo patto tra imprese e DO.


“Ogni giorno nel mondo vengono spesi 147 milioni di euro per l’acquisto di prodotti falsi italiani per un giro d’affari di circa 54 miliardi di euro”, ha affermato Giorgio Santabrogio Amministratore Delegato del Gruppo (nella foto), “Un dato che deve farci riflettere e su cui dobbiamo cambiare rotta”. Quello della mancanza di competitività nell’export è stato il leitmotiv della due giorni e su cui prima Rosati del Mipaf e poi il Vice Ministro Olivero hanno provocato più volte la platea. “L’italian sounding – ha sostenuto il Vice Ministro – è un segnale impietoso sulla mancanza di competitività. I prodotti italiani come il Parmesan si diffondono in quei Paesi dove non riusciamo e non siamo bravi a portare e far conoscere i nostri prodotti. Ciò non deriva dalla mancanza di qualità o innovazione dei nostri prodotti ma dall’incapacità di fare sistema delle imprese”. La due giorni del Summit è stata incentrata anche sulla necessità di lavorare a nuove logiche distributive che devono trovare nelle insegne della DO i principali ambasciatori dei prodotti di qualità in Italia e italiani all’estero. “Il 50% dei prodotti di qualità transita per la Grande Distribuzione e la DO” – ha affermato Mauro Rosati, consigliere del Ministro Martina per il Made in Italy – “da questi canali e dalla loro capillarità sul territorio, può e deve passare l’aumento di fatturato delle piccole e medie imprese italiane”.


La seconda giornata, invece, è stata incentrata sul futuro dell’agroalimentare nel 2020 tema al centro di una tavola rotonda moderata da Luigi Rubinelli cui hanno preso parte Roberto Lovato dell’ICE, il Direttore Generale del Dipartimento Politicihe competitive e Promozione del Mipaaf, Emilio Gatto; il Presidente dell’Autorità Portuale di Salerno, Andrea Annunziata; il Presidente di Assitol Giovanni Zucchi, quello di Assobirra Frausin e quello di Slow Food, Gaetano Pascale. Propri quest’ultimi due hanno posto il problema dei prezzi uno dei prioritari all’ordine del giorno. “Abbiamo il problema di pagare il giusto a chi produce” - ha esordito Pascale – “ mentre oggi il prezzo è divenuto discriminante, a scapito della qualità e dei produttori. Qualità significa sicuramente buono, cioè genuino, ma anche pulito, cioè sostenibile, e soprattutto etico! Dobbiamo portare sugli scaffali della DO i prodotti del territorio e valorizzare anche le piccole produzioni. Per farlo bisogna stare insieme e avere una strategia comune”.


Dunque la ripresa passa per la GDO E DO. Dopo anni di attacchi e accesi dibattiti gli imprenditori, anche i più piccoli, hanno ri-scoperto la forza della distribuzione: riuscire a far arrivare il prodotto ovunque. E’ indispensabile presentarsi uniti e fare fronte comune. E quello che ha fatto Assobirra negli ultimi anni va proprio in questa direzione. -  “In poco più di 4 anni siamo passati da 100 birrifici a 550, e il consumo continua a crescere, anche se di poco, nonostante il terzo aumento consecutivo sulle Accise” - afferma Alberto Frausin di Assobirra – “la nostra associazione racchiude tutte le categorie produttive: dal microbirrifico, alla grande impresa, alla multinazionale. Per valorizzare e promuovere il consumo di birra bisogna stare uniti. “Gli italiani si perdono in un bicchiere (d’acqua)".