Il 21 luglio, in seguito a un drammatico calo dei profitti e delle vendite, il board di Tesco congeda sui due piedi il ceo Philip Clark, sostituito l’1 settembre da Dave Lewis, in arrivo da Unilever. Ma l’escalation degli eventi che porterà dritta all’inchiesta penale avviata in questi giorni dal Serious Fraud Office (Sfo), per appurare i motivi di un pauroso ammanco da 263 milioni di sterline, è appena iniziata.


Ai primi di settembre il colosso britannico, quotato alla Borsa di Londra, – fondato nel 1929 da Jack Cohen, e oggi con mezzo milione di dipendenti in 12 Paesi, un fatturato di 43,6 miliardi di sterline, un consolidato di 70,9 miliardi – lancia un profit warning, riduce il dividendo, taglia le stime annue di utile operativo a 2,4 miliardi e annuncia un abbattimento della cedola del 75 per cento.

Poco dopo la metà del mese il gruppo, il cui marchio avrebbe - secondo alcuni - un prestigio addirittura maggiore di quello Buckingham Palace, dichiara di avere sbagliato i conti e avvia un’indagine interna. La versione ufficiale è una sovrastima degli utili del primo semestre di ben 250 milioni di sterline. Deloitte viene incaricata di effettuare una revisione indipendente e globale, con il supporto dei consiglieri giuridici della catena.

Nella prima settimana di ottobre in Consiglio di amministrazione entrano Mikael Ohlsson, past president di Ikea, e Richard Cousins, ad di Compass, come direttori non esecutivi, con il compito di facilitare e sveltire il lavoro degli auditor, ma anche, presumibilmente, di tamponare, con il proprio prestigio di top manager, il pauroso danno di immagine.

Ma lo scandalo monta ancora. Secondo il “Telegraph” negli uffici del terzo retailer mondiale, alle spalle di Carrefour e Wal-Mart, ci sarebbe infatti un dirigente, che è poi anche la fonte della testata, che avrebbe denunciato per tempo, ai vertici aziendali, alcune gravi malversazioni.

“L’inchiesta si sta concentrando sulla tempistica dei pagamenti dei fornitori legati alle promozioni in-store, che sono spesso stabiliti con mesi di anticipo. Alcune spese sono state rinviate dal bilancio e alcuni incassi sono stati registrati con anticipo - riporta il giornale indipendente Linkiesta.it -. Sempre il Telegraph ha scritto che un ‘piccolo gruppo’ all’interno della società aveva deliberatamente ingannato i revisori contabili”.

Tutto vero? A dipanare una matassa che meriterebbe ormai la penna di John Grisham o di Zachary Stone (lo pseudonimo usato da Ken Follett per firmare “Alta finanza”) saranno ormai gli uomini dell’Sfo.