Non più 12, come nella proposta originaria, ma 6 giorni di chiusura obbligatoria all’anno per gli esercizi commerciali. Questo, in sintesi, il contenuto della “legge Senaldi” congedata ieri dalla Camera dei deputati e che passa ora al Senato. Il voto di Montecitorio è stato praticamente unanime: 283 sì, 15 astenuti e nessun no.

Le giornate di stop dovranno essere individuate all’interno delle maggiori festività, ossia Capodanno, Epifania, 25 aprile, Pasqua, Pasquetta, Primo maggio, 2 giugno, 15 agosto, Ognissanti, Natale e Santo Stefano. In queste date, in ogni caso, bisognerà rispettare le limitazioni degli orari festivi.

Un compromesso che, per volere accontentare tutti, probabilmente non accontenterà nessuno. E infatti Confesercenti ieri scriveva che “sei giorni di chiusura obbligatoria, neppure uno al mese, sono davvero poca cosa e non tengono nel dovuto conto né delle 150.000 firme da noi raccolte, né delle prese di posizione di parte del mondo cattolico e di alcune Regioni che, non a caso, si apprestano a ricorrere allo strumento del referendum, nonché delle istanze di sindacati e lavoratori”.


Insomma sarà ancora guerra. Avanzano infatti i voti favorevoli delle Regioni che vogliono abrogare la legge che dal 2011, durante il Governo Monti, ha tolto agli enti locali i poteri in materia di orari del commercio. Nei giorni scorsi il Consiglio regionale della Lombardia ha detto sì. Lo stesso è accaduto in Veneto, Umbria e Abruzzo. Dopo di che, se si aggiungerà una quinta Regione, si potrà passare all’esame della Corte di Cassazione e al referendum abrogativo nazionale vero e proprio, secondo quanto disposto dall’articolo 75 della Costituzione.