“Fare comunicazione sull’extravergine oggi, significa iniziare a riportare valore sulla marca e sulla categoria  e innescare un processo virtuoso di crescita del valore” questo è in sintesi il pensiero di Mauro Tosini, direttore generale Carapelli – Deoleo che ci racconta perché l’azienda ha deciso di invertire la rotta non puntando più esclusivamente sulla promozionalità ma tornando “a fare la marca”.

Mercato tradizionalmente frammentato e ultrapromozionato quello dell’olio d’oliva. Com’è andata lo scorso anno?

A causa di un raccolto molto scarso nella campagna 2012-2013, i prezzi delle materie prime hanno subito aumenti superiori al 30% che sono stati solo parzialmente riversati al consumatore. Questi aumenti, uniti alla più generale crisi, ha portato ad un sensibile calo dei consumi che solo nella parte finale del 2013 hanno avuto un discreto recupero. A fine 2013 il mercato ha chiuso con un calo del 5% circa.


Questo che cosa ha comportato?

Oltre a una generalizzata contrazione delle vendite, ha causato uno spostamento dei pesi a favore di marche private e primi prezzi. Ma se valutiamo i nostri risultati alla luce di questa congiuntura, possiamo dire di avere avuto un’annata positiva.


Attualmente a quanto ammonta il vostro fatturato?

Siamo attorno ai 260 milioni di euro. Anche se parlare di fatturato per una azienda nel settore dell’olio è poco significativo, nel senso che si tratta di un valore fortemente condizionato, nel bene e nel male, dall’andamento dei prezzi delle materie prime.

Ma voi come state andando?
Complessivamente le nostre quote di mercato crescono. Negli extravergine, l’aggregato dei nostri tre brand (Carapelli, Bertolli e Sasso. NdR) ci porta ad una quota vicino al 25%. Negli oli d’oliva siamo poco sotto al 40%.

Quindi posizioni di leadership…
Assolutamente sì. Siamo l’azienda numero uno al mondo. Bertolli è la marca più venduta a livello mondiale. In Italia siamo leader, sia nel segmento dell’extravergine che in quello dell’olio d’oliva, con follower che seguono a grande distanza. Anche nell’olio di semi, segmento più frammentato, dove la presenza della marca privata è molto forte e arriva al 50 per cento di quota, siamo leader, con una share che sfiora il 15 per cento grazie ai marchi Carapelli, Friol e Maya. Dopo il periodo di sofferenza della prima parte del 2013, peraltro comune a tutte le marche, le nostre quote hanno ripreso a salire. Nei primi mesi del 2014 siamo in crescita in tutti i segmenti di mercato in cui operiamo.

A chi state erodendo spazio? Non certo alle marche private.
In realtà, quello che sta succedendo negli ultimi mesi è un po’ in controtendenza a ciò che è successo l’anno scorso. Le marche private sono in contrazione. Rispetto al primo semestre 2013 cedono quote sia nell’extravergine che nell’olio di oliva. Credo che sia comunque una situazione contingente di breve periodo. Il trend di medio lungo termine rimane favorevole alle pl.

I vostri prodotti vengono venduti anche nel discount?
Abbiamo una presenza molto marginale in questo canale, non necessariamente per nostra scelta. Il discount non sempre tratta la marca. A volte la vuole avere ma non la sa trattare, a volte non la vuole proprio vendere. Altre volte la chiede ma poi pretende di avere quotazioni non adeguate alla marca…

Ma è un canale che vi interessa?
Credo sia necessario uscire da queste classificazioni un po’ vecchie. Bisogna guardare dentro quello che si definisce discount e valutare caso per caso. Lidl è diverso da Eurospin, Penny è diverso da altri discounter presenti sul mercato. Dietro alla definizione di discount si celano realtà, strategie, capacità di trattare la marca spesso molto diverse tra loro. Occorre valutare le situazioni caso per caso. Non c’è un rifiuto a priori su questo tipo di canale, c’è una valutazione oggettiva, serena e pragmatica delle opportunità che di volta in volta si presentano.

E per quanto riguarda le private label?
No, al momento non facciamo private labels. Non c’è nessuna pregiudiziale da parte nostra ma crediamo che fare private label, farle secondo le regole richieste in termini di competitività, sia un lavoro diverso da quello che vogliamo fare noi. Noi siamo un’azienda di marca. Vendiamo marche e abbiamo la pretesa di saper fare bene questo tipo di lavoro. Abbiamo una organizzazione industriale e aziendale adeguata per fare marca che non sempre ci rende competitivi nel mercato delle pl.

Parliamo della vera novità, il ritorno in comunicazione di Bertolli. Era da un po’ che non facevate comunicazione.
E’ vero. Bertolli è stata una delle marche storiche associata più all’olio d’oliva che non all’olio extravergine. Intorno alla metà degli anni ’90, entrò nelle mani di Unilever che decise di cambiare completamente strategia puntando molto sull’extravergine. A quell’epoca Bertolli aveva una quota di poco superiore al 2 %, puntò sull’innovazione di prodotto che ancora oggi è alla base del successo della marca e sulla comunicazione. In quegli anni Bertolli presentò prima la referenza “Gentile” ovvero il prodotto dal sapore più delicato e più dolce; successivamente aggiunse la referenza ”Robusto”, cioè un extravergine più forte; e come terza referenza quella “Fragrante”, quelle dal sapore più fresco. Tutto questo venne accompagnato da una campagna pubblicitaria molto forte, che utilizzò all’epoca De Crescenzo come testimonial e successivamente un personaggio tipo James Bond, lo 007 Bert. Questa campagna ebbe grandissimo successo. Nel giro di pochi anni, Bertolli nell’extravergine raggiunse una quota vicina al 10%. Da lì in poi e’ seguita una fase di mantenimento, in cui la marca ha puntato soprattutto sulla promozionalità come peraltro avviene comunemente in questo mercato.

Perché oggi avete deciso di cambiare?
Perché crediamo che sia arrivato il momento di uscire dal loop sempre meno efficace della promozionalità. Bertolli, più di Carapelli e Sasso, è la marca che vive sulla argomentazione della sua gamma, ed è quella che più di altre nel tempo ha sofferto della mancanza del supporto pubblicitario. La fase promozionale è imprescindibile ma nel lungo termine non è sufficiente a preservare i valori della marca. Era arrivato il momento di invertire la rotta: Bertolli è una marca che vuole tornare a fare la marca.

Cosa significa esattamente?
Significa richiedere il valore adeguato per quello che è il prodotto. Il mercato vive troppo di pressione promozionale. L’olio extravergine è un prodotto fantastico. Ha una tradizione millenaria, è radicato nella cultura del nostro paese, è fortemente in sintonia con i trends salutistici eppure nonostante tutto ciò, si vende soprattutto in promozione con tagli prezzo molto violenti. Una situazione contraddittoria dalla quale è oggettivamente difficile uscire. Fare comunicazione sull’extravergine oggi, significa iniziare a riportare valore sulla marca e sulla categoria  e innescare un processo virtuoso di crescita del valore.

Si tratta di un progetto che in prospettiva verrà allargato anche alle altre vostre marche?
L’idea di fondo, si può benissimo estendere anche  Carapelli e Sasso, piuttosto che a Maya o Friol. La nostra volontà è chiara. Il resto è questione di tempo, modi e ovviamente risorse.

Come si è articolato il ritorno di Bertolli in comunicazione?
La campagna pubblicitaria ha coperto i mesi di luglio agosto e la prima parte di settembre. Il target di riferimento è molto ampio, trattandosi del target donne, dai 25 anni in su. La copertura prevede la tv, con Rai, Mediaset, La7 e Sky, e internet, sia con campagna banner che utilizzando lo spot tv come pre-roll.

L’investimento a quanto ammonta?
Essendo una campagna lunga, di massima copertura e multicanale l’investimento è stato corposo.

Da questa iniziativa vi aspettate anche una risposta e un effetto a breve termine sulle vendite?
È chiaro che quando si fa una campagna ci si augura di poter vedere i ritorni quasi subito. Ma questa non è un’azione tattica, altrimenti avremmo continuato a fare promozioni. il punto è iniziare a comunicare per costruire valore. Sono sicuro che un po’ alla volta i benefici si vedranno.

Il trade come ha reagito?
Molto bene. Pensavo di trovare maggiori difficoltà, ma quando spiego le ragioni che stanno alla base del nostro ritorno in comunicazione trovo totale accordo e sintonia. Tutti soffrono e anche da parte del trade c’è l’assoluta convinzione che si debba uscire dal circolo vizioso della eccessiva promozionalità. Trovare qualcuno che cerca di trasformarlo in un circolo virtuoso, ricostruendo il valore di marca, è certamente apprezzato da tutti.