Riflessioni a ruota libera con Paolo Mamo, amministratore delegato di Altavia, esperto di comunicazione e profondo conoscitore del settore del largo consumo, sulle prospettive della Gdo italiana in un’ottica sostenibile.

La continua battaglia sui prezzi da parte dei retailer non sembra favorire uno sviluppo sostenibile della distribuzione. Qual è il punto di vista di Altavia?
Il tema chiave è come i distributori interpretano la fidelizzazione del cliente. Una nuova tendenza, che rappresenta un fenomeno estremamente positivo a mio avviso, è l’infedeltà: un fattore competitivo, di miglioramento costante, che permette di rimescolare le carte e di valorizzare la qualità dell’offerta. L’infedeltà è fortemente premiata. Viene premiato il fatto che il consumatore passi da una marca all’altra. Quindi, la fedeltà a un brand è una cosa che di per sé non ha un gran senso. La fedeltà deriva dal riconoscimento dei reali aspetti valoriali di una marca.


Esistono nel retail casi virtuosi e di reale coerenza?
Eataly, per esempio, è riuscita a trasmettere il concetto di cultura dell’italianità, del bello, dell’eccellenza italiana, della ricerca del produttore locale di qualità. Questo aumenta la consapevolezza del consumatore. Naturalmente, occorre che la marca aderisca a questi valori anche rispetto alle tematiche sociali e ambientali. Un kg di carne a un euro, per esempio, è un’offerta bomba a livello commerciale. Ma il cliente tende a pensare che in nome della battaglia commerciale probabilmente rischia la salute. La spregiudicatezza di un’offerta di questo tipo si ritorce contro chi la sta facendo e comunque, nella migliore delle ipotesi, sarà frutto di uno sfruttamento del lavoro, di un allevamento non corretto, o peggio, di una frode alimentare.

Se la battaglia sui prezzi non conduce da nessuna parte, quali potrebbero essere, quindi, alternative percorribili?
Oggi c’è un presupposto che per noi è importante. Non è più il momento di battaglie forti e solitarie l’uno contro l’altro. Ci sono temi maggiori su cui occorre avere un atteggiamento più armonico e di maggiore alleanza. Anche perché quando non si può combattere un nemico da soli, la cosa più intelligente da fare è allearsi. Non sto dicendo che le insegne concorrenti debbano allearsi, ma che ci possono essere dei temi comuni e delle sinergie fra imprese che vanno in quella direzione. Gli esempi non mancano. Basti pensare alle coalition sulla fidelizzazione come quelle di Nectar e Payback. Noi stiamo cominciando a parlare con i nostri clienti di coalition che abbiano una componente di proattività ancora più accentuata. Siamo convinti, inoltre, che qualsiasi formula di marketing e comunicazione a cui si ricorre non necessariamente sia quella giusta, se precostituita. Nel rimescolamento totale di stimoli comunicativi cui è soggetto il consumatore non si capisce più che cosa è importante e cosa non lo è. Intendo dire che non è più detto che a un messaggio mediatico istituzionale seguito da azioni più tattiche corrisponda un certo risultato. Pensiamo che su ciascun tema occorra reinventarsi dei nuovi paradigmi.

Il concetto di rete da te toccato, specie se legato al mondo alimentare, non può non portarci a parlare di Expo 2015. Ritieni che questo appuntamento, al di là dell’accordo di esclusiva sottoscritto con Coop Italia, possa rappresentare un’opportunità per i retailer italiani?
Una grandissima opportunità per i distributori potrebbe essere quella di mettere a punto offerte specifiche legate all’evento. C’è un progetto sul riso, un alimento universale e che viene consumato in maniera molto diversa nel mondo. Questo è un modo con cui si potrebbe far conoscere una cultura alimentare sana e antica, aprendosi al territorio e dando vita a tutta una serie di progettualità che vanno in una direzione diversa dalla semplice battaglia sul prezzo. Se va presidiato il rapporto con il cittadino non necessariamente va presidiato quello sul prezzo. Eataly, ancora una volta, insegna: selezionando prodotti territoriali di qualità offre un’esperienza di cultura alimentare. E questo un prezzo lo deve avere.

Parliamo di tecnologia. In che misura può venire in aiuto a questa scena ideale di maggiore aggregazione e collaborazione tra le imprese?

È un dato di fatto che il digital device stia diventando un vero facilitatore per la vita di tutti quanti e tendenzialmente penso che ciò favorisca la sostenibilità. Ci sono delle facilitazioni che sono realmente tali, come quelle che, per esempio, riducono il pagamento in contanti. La proliferazione di fidelity card nel portafoglio del consumatore è un fatto piuttosto comune. In questo momento stiamo lavorando a soluzioni straordinarie che raggruppano tutte le carte di pagamento, di sconti, di fedeltà e le promozioni in un unico strumento, che è il digital device per eccellenza - lo smartphone - e che permette con un sistema di lettura semplicissimo di pagare alla cassa, di decidere su che carta di credito o debito far convergere il pagamento.



Quali sono le prospettive di diffusione di questa forma di transazione economica?

È un progetto, che stiamo sviluppando in partnership con Sparkling Eighteen, che sfrutta in assoluto la tecnologia più avanzata e ha tutte le caratteristiche per diventare uno standard internazionale. Agganciata a questa iniziativa stiamo toccando un altro tema, quello della solidarietà e delle donazioni solidali. Attraverso il sistema di pagamento cui facevo riferimento, si potrà costruire un borsellino solidale all’interno del proprio telefono. Si fa la spesa da un distributore o in un negozio e pagando con lo smartphone e l’applicazione dedicata viene proposto di arrotondare la cifra attraverso un accantonamento su un borsellino solidale che rimane nella tasca della persona che sta facendo la spesa: ogni 5 euro viene proposto di convertire questa cifra accantonata in una donazione a un progetto scelto tra una serie di progetti solidali, selezionati da un comitato scientifico. Il vantaggio è che stiamo proponendo ai retailer di pubblicizzare questo sistema di pagamento e di rendersi parte attiva, proponendo, ad esempio, di raddoppiare la cifra residuale donata. Il distributore non decide a chi fare la propria donazione, ma chiede al suo cliente a chi vuole donare questa cifra. Una novità che rafforza molto la relazione tra cliente e insegna. Non solo. Va anche nella direzione di un rapporto diverso e più attivo tra cliente e marca. Grazie al sistema di geolocalizzazione, infatti, offre la possibilità di pre-acquistare un prodotto. Per esempio, passando nei pressi di una catena di ottica si può essere avvisati che in quel momento si stanno vendendo occhiali di una certa marca per un’ora a un prezzo speciale. Può anche esserci la coda all’interno del negozio, ma accentando l’acquisto da fuori, posso entrare solo per ritirarli.

La tecnologia, insomma, come unica panacea per tutti i mali?
Ovviamente non è cosi. In genere, se i retailer vendono a un prezzo basso perché accorciano la filiera, hanno minori costi distributivi e non fanno comunicazione, spiegano queste ragioni solo se sollecitati. L’unica cosa che si dimostra in questo modo, però, è che il prezzo è più basso. A quel punto il cliente perde il senso dell’operazione. Noi ci auguriamo che questo tipo di sensibilità così forte, che deriva da una cultura strettamente legata agli aspetti più nobili del commercio, cioè la valorizzazione di ciò che si offre, di una propria narrazione del prodotto, faccia rinascere l’autenticità dell’offerta. Ogni insegna ha la sua storia. Bisogna risalire ai presupposti base, ai valori di una marca e trasmetterli in primis con la comunicazione interna alle persone, per far rinascere questo innamoramento, questo legame che non va nella direzione della fidelizzazione. Il problema della fidelizzazione è che è finta. Quando un consumatore riceve da parte di una marca gli auguri di compleanno è in presenza di un’azione di fidelizzazione. Per me, invece, il legame vero è qualcosa di genuino e spontaneo, coerente con la mia natura e la mia identità, perché, se artificiale, alla fine la gente lo percepisce e lo vive di conseguenza.