Nel breve spazio di una quindicina di giorni tre grandi gruppi italiani hanno annunciato, in modi diversi, il proprio ingresso in Cina: parliamo di Granarolo, Barilla e Conad.

Il colosso lattiero-caseario, con 993 milioni di fatturato, sbarca oltre la Grande Muraglia con una filiale a Shangai. Barilla - 3,5 miliardi di giro d'affari – lancia, dal canto suo, "Pasta Pronto", una linea di noodles in 4 gusti diversi, mentre Conad (11,73 miliardi previsti nel 2014) inaugurerà, il 19 febbraio, data del Capodanno locale, 5 punti di vendita – gestiti insieme a un operatore locale - con un assortimento di 250 prodotti a marchio privato (Sapori & dintorni e Conad), oltre a un buon numero di vending machine, che a regime diventeranno 200.

Per quanto importanti, si tratta per tutti di esperienze pilota, almeno in rapporto alle dimensioni delle imprese. Del resto la prudenza è d’obbligo, visto la Repubblica Popolare non è certo un mercato che si possa aggredire: la vastità della nazione, ma soprattutto le differenze dei gusti rendono sempre difficile l’approccio. Valgano per tutti le considerazioni di Paolo Barilla.

"La dimensione del territorio e degli interlocutori, potrebbero vederci per un certo numero di anni come marginali – ha detto il vicepresidente della nostra multinazionale pastaria -. E' una fase nuova per l'azienda perché non abbiamo mai affrontato un'operazione con variabili così complesse. Dobbiamo trovare il nostro modello di sviluppo.  Dovremo imparare a coniugare con equilibrio la tradizione italiana con il gusto locale".

E che non sia una scampagnata lo dimostra il caso di Piazza Italia, il food center italiano da 3.600 mq partito nel 2008 e guidato da Crai Beijing (controllata al 61% da Trading Agro Crai, Tac) e sostenuto da Crai, Consorzio Grana Padano, Cavit, Conserve Italia, San Daniele Service, Frantoi artigiani d'Italia, Boscolo Étoile. Una bella idea, peraltro caldeggiata dalla politica e appoggiata dal capitale pubblico attraverso Simest, ma purtroppo finita male: a ottobre 2009, non riuscendo più a pagare i creditori, Tac viene messa in liquidazione, sepolta da un mare di costi - immobiliari, di formazione, di produzione – a cui non corrispondono adeguati ricavi. Molto probabilmente è ancora troppo presto.

Oggi la musica sembra cambiata, come spiegano in Granarolo, e la Cina mostra dinamiche molto interessanti di sviluppo e di crescita. Il mercato, negli ultimi 5 anni, ha registrato un tasso medio di crescita delle importazioni di beni alimentari superiore al 20% e si stima che entro il 2018 possa diventare il maggiore bacino di importazione di food, con un valore di oltre 80 miliardi di dollari. In tutto questo la presenza diretta della nostra Gdo potrebbe giocare un ruolo chiave come attrattore di imprese meno grandi, ma pur sempre eccellenti.

Non a caso dal punto di vista di Conad, mancando in Italia una struttura consortile che sia catalizzatore e interprete di progetti per far conoscere e apprezzare l’autentico agroalimentare italiano all’estero, aprire punti di vendita in quello che è ormai il primo mercato alimentare mondiale – davanti persino a quello americano – assume un valore particolare. La Cina ha liberalizzato il settore distributivo aprendolo agli investitori stranieri l’11 dicembre 2004: in dieci anni i supermercati sono diventati la tipologia di vendita più diffusa tra la popolazione per l’acquisto di generi alimentari.

In effetti però, in questo bacino geografico, gli Ide (investimenti diretti esteri) rimangono monopolizzati, considerando tutti i settori, dalle altre grandi nazioni asiatiche, come Taiwan e il Giappone, che sono, nel 78% dei casi, le principali fonti, come spiega il mensile “Orizzonte Cina”, curato dall’Istituto Affari Internazionali (IAI) e dal Torino World Affairs Institute (T.wai). Non solo. Localmente, nonostante le riforme, il crescente grado di apertura, e il consolidamento della classe media, affiorano già, elementi critici: il costo del lavoro si fa gradualmente più elevato, come più forte è la pressione della concorrenza autoctona.

Questo nulla toglie al valore delle prime esperienze delle nostre grandi aziende. Limitandoci al settore distributivo, caratterizzato localmente da una forte crescita dei punti di vendita, specie per la tipologia megastore, si registrano da tempo le presenze illustri dei maggiori gruppi occidentali: Wal-Mart, Auchan, Carrefour, Tesco, Metro, il discounter spagnolo Dia, oltre agli specialisti, come Ikea, Kingfisher, Mac Donald’s, Yum, Starbuck’s, H&M, Inditex.

Fra i generalisti spicca il colosso di Bentonville, presente dal 1996 con il primo Sam’s Club, con 400 punti di vendita, anche se le insegne più forti, in quanto al numero di pdv, sono indubbiamente le grandi della ristorazione: per tutti i fatturati e le reti sono in espansione con tassi a due cifre.

“L’aumento del potere d’acquisto e l’evoluzione degli stili di vita dei cinesi – conclude una nota di Conad - stanno dando un volto nuovo al comparto alimentare, soprattutto per quello che riguarda le importazioni. Sono i giovani e, in genere, le fasce benestanti di popolazione ad avere scoperto e apprezzare il cibo e il vino italiani – la cucina e i suoi prodotti sono valutati per le proprietà salutari, suscitano interesse e rappresentano un vero e proprio traguardo sociale –, mentre le popolazioni rurali restano ancorate alle proprie tradizioni”.

I cinesi consumano sempre più pasti fuori casa: in tal modo crescono le carni bianche, le uova, i latticini, il pesce e gli oli vegetali raffinati, mentre calano riso, grano, verdure e carni suine. Uno scenario in cui gli acquisti dall’estero di prodotti agroalimentari conoscono una diversificazione legata a queste nuove tendenze.

Sembra davvero “la volta buona”.