Decisamente in primo piano è lo scoop, per quanto poco commentato ufficialmente dai diretti interessati, lanciato dal “Sole 24 Ore” sull’autoscioglimento, con l’inizio del 2015, di Centrale Italiana. E‘ prevista una sospensione degli accordi commerciali in essere già dal 30 giugno.

Il tutto discende dall’istruttoria avviata il 4 dicembre dall’Antitrust, secondo la quale il raggruppamento fra Coop, Despar, Il Gigante (attraverso la controllata Gartico), Disco Verde e Sigma, ha un “potenziale d’acquisto mediamente intorno al 23% dei mercati di approvvigionamento. Si tratta di un dato che indica un elevato potere di mercato nei confronti dei produttori, rafforzato dalla distribuzione territoriale delle quote di vendita delle imprese aderenti, di gran lunga superiori al 40% in numerosi mercati locali”.

“L’istruttoria – scriveva a suo tempo l’Agcm - dovrà verificare se l’alleanza riduca la capacità di competere di produttori efficienti, ma contrattualmente più deboli, con effetti negativi, nel medio periodo, sulla varietà e/o la qualità dei prodotti, sugli sforzi di innovazione e sugli investimenti. Ugualmente andrà verificato l’impatto, nei mercati a valle, di un eventuale coordinamento delle politiche di vendita o, quanto meno, di una forte riduzione degli incentivi a competere: ne potrebbe derivare che i prezzi di acquisto più bassi ottenuti dall’accordo di acquisto in comune non siano trasferiti ai consumatori”.

Ammesso che l’Antitrust accetti quella che per ora è una proposta dei soci, l’episodio cambia decisamente il panorama della Gdo italiana. Senza Centrale italiana il sistema del dettaglio moderno risulta più fragile.

Secondo il documento dell’Agcm – dati Nielsen Gnlc, settembre 2013 – balza al secondo posto Sicon (Conad e Rewe, 13,7% di quota nazionale), seguita da Esd Italia (Selex, Sun, Agorà, 12,9%), Centrale Auchan (Auchan e Crai, 8,7%), Carrefour-Cds (6%), Finiper-Sisa-Coralis-Alfi (5,9%), Aicube (Pam, Interdis, 4,7%). Via il leader, insomma, l’incidenza nazionale delle “supercentrali”, prima al 75%, collassa sotto il 52%.

Perché è successo? La decisione pare voler evitare il possibile marchio del monopolista. Comunque l’unica tesi ufficiale è per ora quella di Coop. Sempre “Il Sole” riporta una nota in cui si spiega che “lo scioglimento di Centrale Italiana è stato deciso dai suoi soci avendo preso atto dell'esaurimento della sua funzione di promozione e sviluppo delle relazioni con l'industria».

E’ un bene o un male? Dal punto di vista etico la domanda non ha un senso, in quanto tutto dipende da come viene utilizzata una centrale. In un sistema distributivo come il nostro, con un elevato grado di polverizzazione, si può dire che in teoria è un male. Dobbiamo ricordare che l’avvio di un’istruttoria non implica di per sé una sanzione morale e materiale? Da un altro lato è proprio attraverso la vigilanza di un organo super partes che una concentrazione, di qualsiasi tipo, evita il rischio, quanto mai concreto, di sfociare in un monopolio.

Per usare le stesse parole dell’Agcm, riferite a Centrale Italiana, una “supercentrale di acquisto, è un’alleanza tra catene distributive volta a ottenere risparmi di costo nella fase di acquisto delle merci attraverso la negoziazione collettiva con i fornitori.  Ciascuna catena aderente a propria volta, funge da centrale d’acquisto per il proprio gruppo e per i propri affiliati. L’attività consiste nella negoziazione di accordi quadro contenenti le principali condizioni di acquisto applicabili ai contratti di fornitura, i quali vengono invece successivamente stipulati dalle singole catene distributive”.

Insomma una centrale, nella sua accezione positiva, garantisce maggiore trasparenza nelle trattative, prezzi migliori, certezze nei pagamenti, previene possibili frodi fiscali, assicura un flusso costante nelle forniture e negli affari. Il che non è poco, specialmente in presenza di una recessione – con trend poco costanti e, al contrario, costante richiesta di convenienza - e di un mercato, lo ripetiamo, molto frammentato sia dal lato della domanda che dell’offerta.

Decidere tout court per il monopolio significherebbe sostituirsi ai compiti dell’Antitrust, per non passare per ingenui. L’Agcm sa benissimo che i possibili usi scorretti sono in agguato, quando scrive che “il canale distributivo della Gdo - considerato anche dai consumatori finali una modalità di rifornimento di beni di consumo corrente non sostituibile rispetto al dettaglio tradizionale - configura un canale di sbocco insostituibile per la maggior parte dei fornitori, assorbendo una percentuale di prodotto che si aggira mediamente attorno al 70% delle vendite complessive di ciascuno dei prodotti che costituiscono il paniere di referenze della distribuzione moderna alimentare”.

Ancora più indicative di un approccio disincantato sono queste considerazioni: “Benché il settore della Gdo non presenti, a livello nazionale, un elevato grado di concentrazione, esso si presenta invece piuttosto concentrato in numerosi ambiti locali, ove i singoli operatori detengono spesso posizioni di mercato rilevanti, quando non singolarmente idonee a configurare una posizione dominante. Infine, i mercati distributivi sono caratterizzati da rilevanti ostacoli amministrativi all’entrata, che fanno sì che la mobilità delle quote debba prevalentemente ricondursi agli effetti delle cessioni/acquisizioni di punti vendita già esistenti. Anche tale circostanza costituisce un elemento di facilitazione della collusione, rendendo conveniente una politica di localizzazione sui diversi mercati tesa a evitare “costose” contrapposizioni frontali”.