A dicembre 2013, secondo gli ultimi dati Istat, il non alimentare italiano perdeva ancora il 2,7%. In molti anni di recessione è stato proprio questo settore a pagare il tributo più pesante. Lo conferma l’undicesima edizione dell'Osservatorio Non Food elaborato da GS1 Italy-Indicod-Ecr: “Il comparto – si legge nel documento – è quello che ha risentito maggiormente dei tagli di spesa delle famiglie, registrando una flessione a valori correnti dell’8,7%, quasi doppia rispetto a quella dei prodotti grocery e che vede di conseguenza assottigliare ulteriormente la propria incidenza sui consumi complessivi: era del 21% nel 2002 e passa al 16% nel 2012”.

In particolare per il vestiario, moda e accessori, i dati dell'Osservatorio Acquisti CartaSì – relativo alle spese effettuate a dicembre 2013 dagli italiani con carta di credito, in abbigliamento, calzature, accessori, pellicce, pelletterie e valigerie e articoli sportivi - evidenziano una perdita del 10,6% rispetto allo stesso periodo del 2012.

Parallelamente, nella nostra Penisola, la consistenza dei grandi magazzini evidenzia (dati Federdistribuzione) un trend altalenante. Mentre fra il 2000 e il 2010 si nota una brusca caduta, da 916 a 728 unità, nel 2011 il dato risale a 817 punti di vendita, che diventano 847 nel 2012.

Merito sia della forza del leader, Gruppo Coin – che attualmente sta rilanciando in grande stile l’insegna Upim -, sia del movimento dei grandi operatori esteri, a partire da Inditex e H&M, per arrivare alle Galeries Lafayette, che dovrebbero aprire a Venezia e a Milano e all’interesse dimostrato più volte da Harrod’s per il nostro mercato.

Insomma, se le cifre parlano di una crisi, anche profonda, della domanda, evidenziano, alla luce delle cronache, la recuperata vivacità di una formula che sta ritrovando il proprio compito di leader negli acquisti di abbigliamento, accessori e tessile casa, come garante del migliore rapporto possibile fra qualità e prezzo.

E che questa tipologia sia orientata a una seconda giovinezza, anche sul piano mondiale, lo dimostra il recentissimo studio “Global Department Store Retailing” di Verdict, che traccia le linee evolutive del canale da qui al 2019.

La spesa nei department store dovrebbe infatti crescere del 22,2% nei prossimi cinque anni, per raggiungere i 100 miliardi di dollari. Segnali particolarmente forti verranno dall’Asia-Pacifico (+49,5%), dall’America Latina (+40,9), da Africa e Medio Oriente (+36,1).

La Repubblica Popolare, da sola, registrerà un +38,1% che la porterà ad avere il 30% di quota di mercato a livello planetario.

La vecchia Europa e gli Usa, per quanto saturi, riusciranno pur sempre a fare registrare, rispettivamente, un +12,6 e un +10,2%. Sola eccezione l’arcipelago giapponese (+1,1%), ormai in una fase di declino.

La ripartizione dei fatturati per area nel 2014 evidenzia già ora il primato dell’Asia-Pacifico (49%), seguito dal Nord-America (26,4) e dal continente europeo (18,7). Invece il Sud America e l’Africa-Middle East, hanno ancora quote modestissime (4,5 e 1,4%) e dunque confermano tutto il loro inesplorato potenziale.

Verdict conclude la propria analisi con alcune considerazioni sull’andamento del 2009-2014.

Tutti gli operatori globali hanno sofferto. Due soli gruppi, Macy’s e Nordstrom, hanno leggermente aumentato la propria incidenza (dello 0,3 e dello 0,7% rispettivamente).

La classifica 2014 vede in testa tre catene Usa, ossia Macy’s (6,4% di quota), seguito da Sears (4,7) e Kohl’s (4,3). Al quarto posto si piazzano gli inglesi di Mark’s & Spencer (3 per cento). E da un po’ di tempo la piattaforma di e-commerce di Macy’s, che consegna in oltre 100 Paesi, annuncia “Now avaliable in Italy” …