“Non ci sono prove che la concentrazione dei dettaglianti moderni sia, per il consumatore, un driver di scelta significativo, nonostante nei maggiori Paesi europei la Gdo abbia raggiunto una quota del 60%. Lo sono, invece, da un lato i prezzi e, dall’altro, la tenuta del Pil, almeno nelle nazioni in cui questo indicatore ha retto.

“Anzi, se si ragiona solo sulla superficie coperta, la concentrazione delle vendite è addirittura diminuita dell’1,1% in media annua per via dell'aumento del numero degli esercizi commerciali e della crescita di molte insegne prima minori. E se l'impatto delle private label sull'evoluzione dell’offerta è stato positivo, il suo effetto rimane, tutto sommato, modesto”.

Dunque, anche se la nascita di nuove centrali di acquisto e di nuove alleanze è stata il fatto più significativo dell’anno – basti pensare all’Italia e alla Francia - il monumentale studio (452 pagine) condotto da Cambridge Econometrics e Arcadia International per la Commissione Europea, va decisamente contro corrente e attenua l’eventuale paura di presunte tentazioni oligopolistiche da parte della Gdo.

"The economic impact of modern retail on choice and innovation in the EU food sector”, questo il titolo del lavoro, è stato elaborato da marzo 2013 a settembre 2014 e ha preso in considerazione il periodo 2004-2012. Sono state considerate 23 categorie merceologiche in 343 negozi, fra supermercati, ipermercati e discount

Il periodo coperto dallo studio è praticamente diviso in due dall’anno 2008, tant’è vero che da qui in poi si comincia a parlare di “grande recessione”: da allora il potere di acquisto ha veramente cominciato a sgretolarsi e la ricerca del prezzo basso è diventata una priorità assoluta.

Nonostante questo, scrive la Commissione, “le vendite alimentari sono rimaste stabili nel corso degli ultimi 8 anni, grazie al forte sviluppo del retail moderno in tutta l'Unione. La quota della distribuzione moderna nel food è aumentata in 24 Stati membri”.

Le nuove aperture hanno subito un’accelerazione, specie per quanto riguarda il canale discount che ha accresciuto la propria area di vendita dell’81% tra il 2000 e il 2011. Lo stesso indicatore ha messo a segno un +46% per gli ipermercati e un +26% per i supermercati.

In ogni caso, a prescindere dalla dinamica delle superfici, l’incidenza di mercato dei big è salita, ma non in modo esponenziale (“a livello pan-europeo – si legge - i primi 10 rivenditori alimentari sono passati dal 26% del 2000, al 31% del 2011”), come è aumentato l’assortimento.

L’offerta di prodotti alternativi ai grandi marchi, misurata a livello locale, ha fatto segnare, in media, il +5,1% nel 2004-2012. Durante il periodo meno acuto della crisi(2004-2008) il tasso annuo è stato del 7,9%, per scendere a un più modesto +2,4 a partire dal 2008. Nel triennio 2008-2010 il trend è stato persino negativo, attestandosi sul -1,2 per cento.

Anche se i leader hanno rafforzato, come si è visto, la propria quota, l’ingresso di nuovi soggetti e lo sviluppo delle reti, hanno calmierato l’effetto oligopolio.

La concentrazione dei dettaglianti moderni è sì aumentata in molti Stati membri (Repubblica Ceca, Germania, Finlandia, Portogallo, Polonia, Spagna e Regno Unito), ma è diminuita in altri (Belgio, Danimarca, Ungheria, Paesi Bassi, Romania).

Insomma, secondo la Commissione, la dinamica delle alleanze può e deve continuare senza timori, sia perché il tessuto distributivo continentale resta comunque polverizzato, sia perché la crisi dei consumi non può essere contenuta se non con lo sviluppo e le economie di scala.