La produzione mondiale di autovetture supererà i 100 milioni di unità l’anno entro il 2017: lo dice una ricerca condotta da Euler Hermes, leader dell’assicurazione crediti. Lo studio dipinge un quadro positivo per il settore, con la produzione globale che ritorna al tasso di crescita del 4% a medio termine. Consolante, in effetti, perché la quattro ruote è di solito un’ottima cartina al tornasole della propensione al consumo, oltre che un potente generatore di indotto, sia per l’artigianato e manutenzione, sia per i diversi segmenti della cura auto, come lucidatori, pulitori, lucida cruscotti e via dicendo.

“Il mercato automobilistico globale sembra tornare in pista, dopo avere perso terreno durante la crisi finanziaria - conferma Ludovic Subran, economista capo di Euler Hermes -. Durante tale periodo la produzione si è spostata verso le nuove economie, dove il tasso di dotazione di autovetture resta ancora molto basso – il 2% in India e il 5% in Cina – con buone prospettive di crescita a lungo termine, in quanto questi numeri sono destinati a crescere.”

Secondo Euler Hermes il motore principale della crescita sarà ancora la Cina, che nel 2009 ha surclassato gli Usa come principale produttore automobilistico del Pianeta. Il Paese continuerà ad espandere il proprio dominio mondiale, con una produzione quest’anno di almeno 20 milioni di unità.

La previsione di crescita arriva a dispetto del prolungato rallentamento dei principali mercati europei, come la Francia e l’Italia – la cui produzione è destinata a restare ferma a meno della metà del picco ante-crisi – e dei livelli di produzione in caduta, in Paesi come il Brasile e la Russia.

Per quanto riguarda le altre nazioni, la Germania resta solida, con una crescita prevista per quest’anno al 6%. La Spagna dovrebbe riportare una progressione a doppia cifra, anche se parte da un livello più basso rispetto alla maggioranza dei vicini europei. Lo studio riconferma anche la “reindustrializzazione” in corso sia nel Regno Unito che negli States, le cui modifiche strutturali hanno contribuito al ritorno della produzione ai livelli precedenti la crisi del 2008.

“Questo spostamento della produzione ha investito alcune economie più di altre - spiega Yann Lacroix, principale autore del rapporto -. Per esempio, la Germania ha prodotto più del quadruplo dei veicoli rispetto alla Francia, mentre un decennio fa la differenza era meno del doppio. L’industria americana ha riguadagnato la competitività persa. La forza lavoro è stata ridotta di un quinto, molte linee di produzione sono state chiuse e la gamma di prodotti completamente rinnovata. Per quanto riguarda il Regno Unito, grazie alla flessibilità del mercato del lavoro e a un regime fiscale sempre più favorevole alle imprese, il Paese è tornato a essere un produttore di classe mondiale.”

Per il futuro lo studio sottolinea che se la Cina, il cui mercato è dominato da società occidentali in joint venture con i produttori locali, conserverà una crescita a due cifre, i prezzi di vendita dovranno necessariamente diminuire. Per garantirsi uno sviluppo sostenuto, i produttori avranno infatti bisogno di andare alla ricerca di nuovi clienti nelle zone rurali. Ma un potere d’acquisto più basso significa che la domanda si rivolgerà verso prodotti più economici.

Con il 75% delle vendite globali concentrato in quattro aree geografiche principali (Cina, Europa, Giappone e Usa), i mercati emergenti sono ancora indietro in termini di volumi di vendita. Inoltre i tassi di dotazione di autovetture delle famiglie subiscono l’impatto delle crisi economiche e politiche.

“Nel breve periodo i grandi vincitori sembrano essere i principali produttori di componenti per auto - aggiunge Subran -. Molte industrie automobilistiche in corso di ristrutturazione si trovano posizionate in aree di crisi e stanno investendo nelle aree di sviluppo -. Tuttavia anche i fornitori del settore si sono globalizzati e hanno riallocato le proprie imprese per seguire la produzione automobilistica. In questo processo, hanno smesso di fare affidamento sui mercati interni più deboli e aumentato il proprio potere di negoziazione. Questa scelta si è rivelata ottimale per i margini, che sono cresciuti costantemente dal 2010 e nel prossimo anno dovrebbero raggiungere un solido 7,5%.”

E l’Italia? Nel 2013 le nostre immatricolazioni di auto sono state 1,3 milioni, in flessione del 7% rispetto al 2012 e per il sesto anno consecutivo in calo. Bisogna risalire fino al 1974 per trovare un dato paragonabile, facendo quindi piombare il mercato delle vendite indietro di circa 40 anni.

Nei primi sei mesi dell’anno si è assistito a un rimbalzo delle immatricolazioni (+3%) che dovrebbe condurre ad una crescita a fine 2015 pari al 5%. La componentistica resta uno dei principali driver dell’automotive nazionale. “E’ la componentistica di primo impianto a dare sollievo al comparto – conferma Massimo Reale, direttore Fidi Euler Hermes Italia –, che con oltre 2400 aziende ha chiuso il bilancio del 2013 in positivo, con una forte crescita verso i mercati esteri, crescita che sarà confermata anche nel 2014. Tutto ciò è il risultato dell’eccellenza tecnologica del made in Italy del comparto, che riesce a essere competitivo anche in mercati maturi, grazie all’espansione degli investimenti produttivi fuori confine e alla ricerca del miglior contenimento dei costi e dell’efficienza distributiva”.

Ma attenzione a farsi troppe illusioni, almeno sullo stato di salute del Vecchio Continente e sul persistere del legame ferreo tra l’uomo e la macchina, che non sembra più un valore per le nuove generazioni.

Deloitte, nel suo rapporto sulle scelte di mobilità e sulle aspettative del consumatore sul mercato dell’auto, avverte che il 25% dei giovani-adulti, nati fra il 1977 e il 1994, non prevede di comprare una vettura prima del 2019. Questo perché si tendono a preferire, specie in situazioni di traffico congestionato, alternative più economiche o che, se non altro, non hanno costi fissi di esercizio: taxi, mezzi pubblici o, per gli ecologisti-risparmiatori più tenaci, lo spostamento a piedi o in bici.

In effetti, dalle oltre 23.000 risposte raccolte in Italia, Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Paesi Bassi, Turchia e Regno Unito, balzano al primo posto, come elementi di disaffezione, gli elevati oneri di esercizio e manutenzione (72%) e la maggiore convenienza di soluzioni alternative (71%). Un 67% degli interpellati dichiara esplicitamente di avere trovato piena soddisfazione alle proprie esigenze di mobilità attraverso i mezzi pubblici, lo spostamento a piedi o in bicicletta.