I maggiori retailer dell’Unione europea rispondono ai discount: così i primi prezzi dei marchi privati scendono a un livello inferiore anche rispetto alla scala prezzi di una multinazionale come Lidl. I ribassi sono davvero consistenti, e vanno dal 2 fino al 16%. E tuttavia, per fare questo, le maggiori catene devono accettare molti, forse troppi, compromessi sul versante della qualità. Infatti mentre il potente discounter tedesco mantiene livelli paragonabili, o persino superiori, a quelli dei brand industriali, lo stesso non si può dire per i marchi del distributore. E questa inferiorità è particolarmente evidente negli elementi esteriori, come il packaging e il design, due elementi che, pur non andando a incidere sulle prestazioni, sono comunque importanti dal punto di vista del marketing e condizionano le scelte nel punto di vendita.

 

Ad affermarlo è una recente analisi della società di consulenza internazionale Iplc che ha messo a confronto per 4 settimane di rilevazioni – dall’ultima settimana del 2013, alla terza del 2014 – un paniere di 35 referenze, monitorate all’interno di 6 insegne per altrettante nazioni: Halbert Heijn (Paesi Bassi), Tesco (Gran Bretagna), Delhaize (Belgio), Carrefour (Francia), Edeka (Germania) e, ancora, Carrefour per la Spagna. Termini di paragone, sono, come già detto, i brand leader e Lidl, ramificato in tutti i bacini geografici presi in esame.


L’obiettivo dei compromessi accettati dalla gdo in materia di qualità è abbastanza ovvio: competere con un canale, il discount appunto, le cui quote di mercato sono in crescita praticamente ovunque, grazie a un mix che riesce ormai a coniugare in modo armonico, prezzo, qualità e semplicità. E questo non vale solo per Lidl, ma anche per altri grandi, come Aldi, Dia, Penny e Netto.


Più in particolare sono emerse una serie di evidenze che riguardano casi singoli e che dimostrano quanto sia forte la battaglia in atto. In Belgio, per esempio, Delhaize riesce a mantenere l’offerta dei primi prezzi che sono del 33% inferiori rispetto a quelli dei marchi industriali.  L’offerta private label di primo prezzo si dimostra sempre molto aggressiva se confrontata con i soli prodotti di marca: -24% in Germania da Edeka, -43% nel Regno Unito da Tesco, con una media che, per le 6 nazioni, è del -55%.

 

L’analisi visiva sottolinea che, per le marche private, vengono talora adottati stratagemmi come una riduzione dei volumi delle confezioni. Questo rende molto difficile confrontare il prezzo, anche se l’adozione di un simile escamotage è vanificata, in tutto o in parte, dall’esposizione del prezzo al litro o al chilogrammo.

 

Sempre l’osservazione empirica ribadisce che i packaging delle marche private, e in particolare dei  prodotti da primi prezzo, appaiono abbastanza trascurati, sia rispetto alle marche industriali, il che è piuttosto ovvio, ma anche in confronto agli standard di Lidl, il che è decisamente meno ovvio. E talora mancano elementi importanti, come gli anelli a strappo nelle lattine o i sistemi easy open in genere.

 

Se non è stata condotta, il che sarebbe stato indubbiamente interessante, una comparazione sensoriale dei vari prodotti alimentari, si possono comunque constatate, per i primi prezzi private label, alcune discontinuità sui contenuti, sia rispetto ai brand leader che rispetto all’assortimento di Lidl. Spuntano così, in certi casi, marmellate di fragole con un contenuto di frutta inferiore, creme spalmabili con meno nocciole, burro di arachidi con poche arachidi e meno salmone nelle insalate di salmone.

 

Le conclusioni di Iplc sono abbastanza evidenti. “Se da un lato è vero che le grandi catene devono fare uno sforzo per non perdere clienti a vantaggio degli hard discount, abbattendo il prezzo della propria offerta a marchio di primo prezzo è abbastanza chiaro che questa competizione comporta, alla lunga, ricadute negative sui margini e sulla percezione della qualità dei prodotti acquistati da parte del consumatore. Dal momento che il marchio del distributore coincide, il più delle volte, con l’insegna, il fatto di scendere sotto certi livelli implica un grosso pericolo, ossia di mettere in discussione la fiducia verso la catena e verso il mondo delle private label in generale”.