Apre i battenti il 5 febbraio la tre giorni berlinese di Fruit Logistica. Come si presentano gli italiani a questo appuntamento, specie all’indomani dell’ennesimo attacco internazionale lanciato dal “New York Times” contro l’olio extravergine di oliva, altro pilastro del Made in Italy, accusato “a freddo” di essere oggetto di innumerevoli frodi alimentari? Senza entrare nel merito della querelle, sottolineiamo solo che settori coesi e forti sono in grado di resistere meglio agli attacchi. Specie quando gli attacchi sono portati da un giornale il cui Paese di origine è una delle migliori  fabbriche del peggiore “italian sounding”, oltre che, contraddittoriamente, uno dei maggiori estimatori della nostra tavola.

Il nostro comparto ortofrutticolo regge alla sfida internazionale? In effetti ci sono molti elementi contrari: oltre alla storica polverizzazione produttiva, pesano l’aumento dei prezzi all’origine e, almeno sul mercato in interno, il calo dei consumi.

Il 2013 – riferisce Ismea - chiude con un incremento medio dei prezzi agricoli del 4,7% rispetto al 2012, determinato da una crescita del 7,5% nel comparto delle coltivazioni vegetali e dell'1,5% nell'aggregato zootecnico. Nel dettaglio emerge un andamento sostenuto per la frutta (+16,3%), con incrementi superiori alla media per le varietà estive (+23,8%) e per le pere (+26,4%).  Stessa cosa per gli ortaggi (+10,3%). L’ultimo aggiornamento dell’indice, relativo a dicembre, mostra su base mensile un aumento dei prezzi agricoli del 3,1%, con incrementi del 4,4% per le coltivazioni e dell’1% per i prodotti zootecnici.  In ogni caso si osserva un rallentamento nel biennio. Rispetto a dicembre 2012 i livelli attuali dei prezzi agricoli registra un differenziale negativo del 4,6%; cedono il 9,3% le produzioni vegetali, mentre aumentano dell’1,3% i prezzi del comparto zootecnico.

Se è vero che un simile andamento compensa le ricadute del maltempo, è altrettanto vero che le ripercussioni sul consumo e sull’export potrebbero essere inevitabili. Potrebbero appunto...ma, come vedremo, non è andata così.

Secondo Coldiretti il quadro sarebbe addirittura nefasto. “Gli acquisti di frutta e verdura degli italiani nel 2013 – scrive l’associazione - sono crollati. Sono scesi al minimo da inizio secolo, con le famiglie che sono state costrette a tagliare gli acquisti e a mettere oltre 100 chili di ortofrutta in meno nel carrello, rispetto al 2000. Il calo è del 18% nelle quantità consumate dagli italiani, che hanno portato sulle tavole appena 320 chili di ortofrutta nel corso del 2013”.

La riduzione - sottolinea ancora Coldiretti - ha riguardato sia il consumo di frutta (-17%), ma soprattutto la verdura (-20%) rispetto al 2000 ed è stata progressiva, ma con una forte accelerazione negli anni della crisi.

Fortunatamente dalle rilevazioni Ismea, che considerano però un arco cronologico più ridotto, esce un quadro che, pur non essendo roseo, ridimensiona di molto le cifre del rallentamento. Gennaio-novembre 2013 chiude con un –2% in volume e un -2,8% in valore. Per quasi tutte le voci, anzi, i valori dimostrano una dinamica leggermente peggiore, il che prova che i rincari non si sono scaricati sul consumatore. Più in dettaglio, ragionando sui soli volumi, l’ortofrutta fresca ha un tendenziale del -2,3, mentre quella trasformata (conserve, surgelati, IV gamme) è, per quanto poco, in positivo (+0,2). Il valore, in poche parole il fatturato, invece ripiega addirittura del 3,5% cosa che ribadisce, come detto prima, che i prezzi finali restano molto interessanti per le famiglie acquirenti.

Sono i segmenti del fresco a registrare le perdite maggiori: soprattutto le mele (-4,6% in quantità), gli agrumi (-3,6%) e le patate (-3,3%). Nei trasformati, su 6 merceologie comprese nelle rilevazioni (frutta, ortaggi, pomodoro, patate, surgelati, IV gamma) ripiegano soltanto, e di poco, i “rossi” (-1,4% sempre in volume) e, strano a dirsi, le verdure lavate e tagliate, pronte per il consumo (-0,8% e -4,3% in valore).
Insomma Ismea dimostra, cifre alla mano, che non è poi andata tanto male, e che la domanda interna non è affatto crollata. Anzi, su molte voci, si è mantenuta in positivo.

Anche la bilancia commerciale dei primi 10 mesi non evidenzia particolari motivi di preoccupazione. Per le verdure il saldo è in negativo sulle quantità (-332.186 tonnellate), ma recupera qualcosa in valore (201,4 milioni). Per la frutta, i cui flussi sono quasi doppi rispetto agli ortaggi, gli italiani mettono a segno un avanzo positivo di 561.519 tonnellate e 445,5 milioni. A gran totale il nostro Paese rimane insomma esportatore netto.

Suddividendo le voci dell’export in otto settori – ortaggi freschi, legumi freschi, funghi e tartufi, radici e bulbi, patate, agrumi, frutta a guscio, frutta fresca – si conferma il ruolo di preminenza della frutta fresca, che rappresenta, grosso modo, i quattro quinti dei flussi in uscita.  A prescindere dal diverso peso delle singole famiglie di prodotto, e ragionando solo sulle vendite in valore, evidenziano segnali particolarmente favorevoli le esportazioni di patate (+43,5%) e agrumi (+28,8%), due merceologie nelle quali però l’import ha decisamente un peso maggiore dell’export. Il ogni caso, a fronte di una negatività quasi generale dei volumi venduti oltre confine, l’andamento in valore è positivo in tutti i segmenti considerati. Insomma il "made in Italy" genera fatturato.

In sostanza la nostra Italia, in materia di ortofrutta, si mantiene - alle spalle della potentissima Spagna, che chiude il suo 2013 ortofrutticolo con 11 miliardi di export, in crescita del 13% (dati Fepex) – uno dei Paesi leader, con vendite estere di circa 4 miliardi per il solo prodotto fresco.

La nostra Italia, qui come altrove, non ha cifre di poco conto e non ha ragione di temere confronti.