La pasta in Italia è fortemente deprezzata in quanto ritenuta un prodotto convenience. Se prendiamo in considerazione l’intero paniere Istat vediamo che dal 1995 allo scorso maggio 2007 l’indice di aumento medio è stato di 26 punti mentre per la pasta è stato dell’8,1, molto basso rispetto a quello di altri prodotti, come per esempio il riso (+21).

Per quanto riguarda invece il frumento, la produzione nazionale di grano duro - 1.350.000 ettari coltivati, con aumenti di superficie previsti per il 2008 - è insufficiente rispetto alla domanda (circa 60 milioni di quintali) e l’importazione, che presto raggiungerà il 50% del fabbisogno interno, comporta l’utilizzo di materia prima di qualità inferiore.

Nel recente incontro tra imprese di pastificazione e molini del centro-nord Italia, organizzato da UnionAlimentari, è emersa una chiara disorganizzazione dell’intera filiera: dall’agricoltore che è “pronto a deposito” a quotazioni di frumento che variano più volte nella stessa giornata, dai molini che vendono a cadenza giornaliera e a piccole partite fino all’assenza di coesione all’interno del comparto pastai.

“Sarà compito di UnionAlimentari promuovere contratti quadro che coinvolgano i soggetti della filiera, dall’agricoltore al produttore di pasta, e che siano economicamente vantaggiosi per tutti. - commenta Massimo Andalini, presidente del settore pasta UnionAlimentari - A questo dovranno affiancarsi investimenti in ricerca e diversificazione che saranno fattibili solo se, anche a valle, ci sarà uno sforzo coerente: è auspicata infatti una rivalutazione percettiva della pasta italiana affinché venga considerata un bene commodity e sia riconosciuta l’elevata qualità del prodotto finito che i piccoli e medi pastai italiani da sempre garantiscono“.